Un deputato statunitense che fa infuriare la maggior parte del gruppo repubblicano e che ha pronunciato ieri il suo discorso nei ranghi dell’estrema sinistra.

Non stiamo parlando di Alexandria Ocasio-Cortez, ma di Matt Gaetz, classe 1982, idolo dei tifosi scatenati di Trump, troppo estremista anche per i radicali del Freedom Caucus e l’autore di quella che è la prima mozione di sfiducia nei confronti di uno speaker della Camera ad aver successo nel corso dell’intera storia americana.

Una manovra che da un lato cercava di aumentare il suo appeal presso l’estrema destra trumpista che già lo adora, dall’altro di aumentare la sua esposizione mediatica e raccogliere fondi dai piccoli donatori con messaggi mirati durante lo shutdown e addirittura durante il dibattito alla Camera, mossa per la quale è stato definito «disgustoso» dal collega della Louisana Garrett Graves.

Insomma, un personaggio che si autodefinisce «firebrand» (è anche il nome del suo podcast) non poteva che essere profondamente divisivo. Del resto la sua provenienza familiare spiega perfettamente il suo atteggiamento sprezzante e pretenzioso nei confronti di chiunque non voglia seguire la sua linea politica.

Per chi segue la politica locale nella capitale della Florida, Gaetz è un nome già noto per il senatore statale Don Gaetz, padre di Matt, che invece aveva la fama di essere un negoziatore capace quando dal 2012 al 2014 era presidente del Senato.

Anche il nonno Jerry era un politico in North Dakota e nel 1964 era uno dei più accesi sostenitori del senatore Barry Goldwater, uno dei padri del movimento conservatore moderno, alla primarie repubblicane per le presidenziali di quell’anno e morì durante la convention statale che lo avrebbe candidato alla carica di vicegovernatore.

L’ascesa

Nessuno però come Matt era arrivato al Congresso federale. E lo ha fatto abbandonando il soprannome di “Baby Gaetz” con il quale era conosciuto nei corridoi del Campidoglio floridiano nella capitale Tallahassee.

Anche se la sua retorica è piena di riferimenti agli «americani che lavorano duramente», non si può dire che la sua ascesa sia stata punteggiata dalle asperità: viene da Niceville, una città popolata al 90 per cento da bianchi, religiosa e conservatrice, in un distretto, il primo della Florida, dove la città più grande è Pensacola, con circa 50mila abitanti.

Non esattamente impegnativo da vincere. In più, il padre,  detto “Papa Gaetz” è un ex imprenditore nel campo sanitario che ha venduto la sua azienda per 400 milioni di dollari nel 2004. Abbastanza per aiutare nel 2010 il figlio a entrare in contatto con gli immobiliaristi e le imprese sanitarie private della zona che già lo avevano aiutato in precedenza tanto da raccogliere la cifra monstre di 480mila dollari.

Uno sproposito per un seggio alla Camera statale. Per fare un paragone: il suo avversario democratico raccolse poco meno di diecimila dollari. Uno svantaggio incolmabile, per chi senza cotanto padre «avrebbe fatto il commesso da Walmart» secondo una dichiarazione al veleno del suo avversario dem.

Curriculum estremista

Mentre Gaetz senior era noto come un negoziatore duro ma comunque corretto, il giovane Matt si fece notare sin da subito come insultante ed estremista, legandosi da subito alla corrente estrema del Tea Party per poi approdare, una volta eletto alla Camera nel 2016, tra le fila dei trumpiani.

E nemmeno tra quelli tiepidi: il magazine di sinistra Mother Jones lo definì «il più lecchino tra i fanboy» dell’allora presidente. La sua newsletter di deputato in quegli anni infatti parlava più di Trump che dei suoi risultati legislativi, peraltro assai modesti. Secondo i suoi colleghi repubblicani, Gaetz passa più tempo su Fox News che nelle aule a lavorare.

E quando si fa vedere, mette in atto uno show a favor di Camera, come la mozione contro McCarthy andata in scena ieri, contro il volere di altri iperconservatori come il deputato del Kentucky Thomas Massie, che lo ha accusato di non tenere al «decoro delle istituzioni».

Obiezione difficilmente contestabile per chi probabilmente non verrà espulso dal gruppo repubblicano, come ventilato dal deputato Don Bacon dopo il voto di ieri, ma che con tutta probabilità si troverà ad affrontare un avversario alle primarie per le elezioni per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti nel 2024.

Si vedrà allora se si farà chiarezza sulle accuse di aver fatto parte di un giro di politici e lobbisti che si vantava delle sue avventure sessuali, a volte persino con ragazze di diciassette anni, in modo esplicito, vicenda sulla quale non si è finora riusciti a far chiarezza.

Quello che è certo che forse il deputato preferito da Donald Trump ieri ha fatto un passo più lungo della gamba che forse non valeva il rischio preso. Perché la storia politica dimostra che, anche se l’ex presidente tende a premiare la lealtà, a volte può anche scaricare i suoi più accesi sostenitori, se il gioco politicamente vale la candela.

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