Benjamin Netanyahu vuol spegnere Al Jazeera in Israele e adesso ha una legge fresca di approvazione parlamentare che glielo consente.

La Federazione internazionale dei giornalisti condanna la mossa, che inquadra come una deriva dispotica. E il fatto è che non si tratta di una mossa soltanto. Già prima del 7 ottobre, l’esecutivo di Netanyahu aveva preso di mira le voci critiche, attaccando tanto per cominciare il polmone dell’opinione pubblica liberale del paese, il quotidiano Haaretz.

La presa sui media andava di pari passo con un più generale attacco all’equilibrio dei poteri; la riforma della giustizia di Netanyahu aveva portato le tende davanti al parlamento ben prima che cominciassero le proteste per liberare gli ostaggi.

In questo contesto già compromesso, si innestano le dinamiche di guerra. Giornalisti uccisi, accessi a Gaza impediti, blackout delle comunicazioni nella Striscia e ora anche di alcune trasmissioni in Israele: davanti a questo elenco di fatti, Tim Dawson, che rappresenta la International Federation of Journalists (Ifj), cioè il sindacato internazionale dei giornalisti, trae una conclusione nitida.

«Tutte queste mosse per ostacolare il diritto di cronaca hanno l’obiettivo di controllare la narrazione. Minare la quantità e la qualità della copertura giornalistica è un tassello di uno specifico piano», dice a Domani.

Il caso Al Jazeera

La settimana è iniziata con il perentorio annuncio di Netanyahu: «Interverrò immediatamente» per vietare la diffusione del canale qatariota Al Jazeera in Israele.

La base giuridica è data da una legge approvata questo lunedì dal parlamento israeliano – e nota anche come “Al Jazeera law” – in virtù della quale il governo può disporre la chiusura temporanea di canali stranieri che operano in Israele, e pure confiscarne la strumentazione, qualora valuti che «danneggino la sicurezza dello stato».

Già il 15 ottobre Haaretz aveva preallertato sui piani di Shlomo Karhi, il ministro delle Comunicazioni israeliano, il quale intendeva «promuovere nuove regole che gli consentirebbero di fare arresti o sequestri di civili qualora abbiano diffuso informazioni a danno dell’etica nazionale o che forniscono strumenti alla propaganda nemica».

Karhi aveva negato che ci fosse questo piano, confermando però quello di portare avanti nuove regole così da vietare Al Jazeera, con l’argomento che è finanziato dal Qatar dove le menti di Hamas si nascondono.

Netanyahu lo ha definito «un canale terroristico», accusandolo di aver compartecipato all’attacco del 7 ottobre e di minacciare la sicurezza di Israele. Accuse alle quali Al Jazeera ha risposto ieri: «Sono affermazioni assurde e pericolose».

Dawson di Ifj dice che «per quanto non si possa essere d’accordo su tutto quel che Al Jazeera fa, si tratta di una testata globale responsabile e riconosciuta, che ha garantito una delle migliori coperture giornalistiche di questa guerra, e se il governo Netanyahu le impedisce di operare il danno sarà anzitutto per la salute della democrazia israeliana».

L’amministrazione statunitense ha commentato l’operazione di Netanyahu ribadendo l’importanza della stampa libera e del lavoro sul campo a Gaza di cronisti come quelli di Al Jazeera.

Già a fine ottobre, Jon Allsop della Columbia Journalism Review domandava: «Il governo Netanyahu vuole spegnere Al Jazeera, ma si fermerà lì?».

A gennaio 2023, dunque ben prima dei fatti di ottobre, il ministro delle Comunicazioni Karhi aveva definito Haaretz «un abominio bolscevico», minacciando di tagliare alla testata la pubblicità.

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