La vicenda dell’orfanotrofio di al Mayqoma di Khartoum, da dove lo scorso 7 giugno sono stati evacuati circa 300 neonati e bambini in tenera età in condizioni disastrose dopo che nei giorni precedenti 71 loro piccoli compagni erano morti per fame, disidratazione e malattie, è l’immagine probabilmente più esplicita e crudele della situazione in cui il Sudan versa al momento.

A due mesi dallo scoppio del conflitto tra le forze fedeli al Generale Abdel Fattah Burhan e quelle delle Rapid Support Forces (RSf) guidate dal Generale Mohammed Hamdan Dagalo detto Hemedti, il contesto sta degenerando di ora in ora. I morti sono migliaia, solo nella zona del Darfur occidentale sarebbero oltre mille, mentre secondo le Nazioni Unite i combattimenti hanno portato alla cifra record di 25 milioni di persone – più della metà della popolazione – in emergenza umanitaria, con estrema necessità di aiuti e protezione.

Le tregue – una decina circa - decise a Gedda, dove da oltre un mese è aperto ufficialmente un tavolo negoziale sponsorizzato da Usa e Arabia Saudita, e firmate da entrambe le fazioni, sono state ripetutamente violate. Il momento sembra favorevole alle Rsf che, oltre ad aree di Khartoum e del Darfur, hanno ottenuto il controllo di Um Dafuq, una città al confine con la Repubblica Centrafricana. Con Bangui, Dagalo intrattiene buoni rapporti che gli fruttano introiti nell'estrazione dell'oro e sostegno armato. Sui social media si moltiplicano le voci secondo cui il controllo di questo punto strategico al confine faciliti potenziali consegne di armi da parte del gruppo Wagner.

Nel frattempo precipita la situazione nel Darfur: i cittadini di El Geneina sono sotto assedio, intrappolati all'interno della città e molti di coloro che sono fuggiti in auto o a piedi sono stati uccisi. Alcune fonti affermano che i residenti rimasti in città sono stati costretti dalle Rsf a trasferirsi nei quartieri settentrionali, stipati a migliaia in 5 km quadrati. Come riporta Al Jazeera, salgono i timori che, se lasciato incontrollato, l'attuale ciclo di violenza possa diventare peggiore della rivolta del Darfur di 20 anni. In quell’occasione la dura reazione del dittatore Omar al Bashir che chiese alle truppe Janjaweed di reprimere le tribù ribelli non arabe, causò 300mila morti e 2,5 milioni di sfollati. A completare un quadro molto problematico, la decisione di al Burhan di dichiarare Volker Perthes, capo della missione Onu in Sudan, “persona non grata”. Al suo posto è stata nominata la vice Clementine Nkweta-Salami.

Per provare a capire la situazione e avere notizie dall’interno, Domani ha raggiunto al telefono un medico appartenente alla Sudan Doctors Trade Union, il Dottor Atia Abdalla Atia, Segretario Generale dell’organizzazione.

Dottor Atia, dove si trova in questo momento?

Sono a Khartoum ma non posso dirle il luogo esatto per motivi di sicurezza.

Qual è la situazione nella capitale e nel resto del paese?

Siamo a un passo dal disastro, ci prepariamo a dichiarare il default totale del sistema sanitario anche qui a Khartoum mentre nel Darfur è già stato raggiunto da settimane. Mancano rifornimenti, cibo, medicine e ogni tipo di bene primario, gli aiuti umanitari non arrivano a destinazione anche perché non ci sono corridoi sicuri di passaggio, i mezzi umanitari vengono colpiti di continuo e 11 ambulanze sono state distrutte. 21 nostri colleghi che prestavano servizio volontariamente sono stati uccisi, mentre due medici sono stati arrestati e cinque rapiti. Le vittime aumentano, i feriti sono ormai un numero incalcolabile e questo per quanto riguarda la capitale, dal resto del paese abbiamo notizie frammentarie a causa dello scarso funzionamento di elettricità e della rete.

Nel frattempo ci riportano di un numero sempre maggiore di donne e ragazze violentate: lo stupro viene nuovamente utilizzato come arma di guerra e, come sempre, a rimetterci sono le popolazioni civili, le fasce più vulnerabili.

La branca della vostra associazione in azione nel Darfur, qualche giorno fa ha paragonato l'intensità della violenza ai massacri del genocidio ruandese del 1994, c’è questo rischio?

I timori sono molti, nel Darfur solo qualche decennio fa, abbiamo vissuto una durissima guerra, se non si pone fine a questo terribile stato di cose, finirà come allora se non peggio. Le tregue non vengono mai rispettate e la popolazione è sempre più isolata, le Ong internazionali hanno lasciato il paese anche perché senza corridoi che garantiscano la sicurezza, la loro presenza è a forte rischio, molti operatori umanitari sono stati attaccati in questi mesi.

È in corso anche una guerra mediatica, le Rsf stanno facendo di tutto per accreditarsi quale vera forza affidabile sul campo: quando la scorsa settimana al Burhan ha dichiarato Volker Perthes "persona non grata", Hemedti ha subito fatto sapere di sostenere pienamente il lavoro svolto da Volker e da altri attori internazionali. Chi la sta vincendo la Guerra della comunicazione?

Le Rsf si danno molto da fare. La scorsa settimana un convoglio di Medici Senza Frontiere è stato fermato mentre lasciava un magazzino di un centro medico gestito dalla Ong e controllato dalle forze della Rsf. I soldati hanno chiesto al personale a bordo di rilasciare una dichiarazione davanti alle telecamere riguardo alla correttezza e al rispetto delle procedure da parte della Rsf. Se si fossero rifiutati il convoglio non avrebbe potuto procedere. Il video (poi smentito da Msf, ndr) è stato poi fatto circolare sui social media al fine di dimostrare che le Rsf sono dalla parte del popolo. La guerra si combatte anche mediaticamente e non risparmia colpi.

Dottor Atia cosa deve succedere per fermare questo disastroso stato di cose e cosa può fare la comunità internazionale per venire in concreto soccorso del Sudan in fiamme?

La guerra deve finire subito, i combattimenti devono cessare immediatamente, questa è la prima condizione, devono capire che si devono fermare, altrimenti si scivolerà verso una guerra civile totale e sarà una catastrofe dalle dimensioni inimmaginabili. La comunità internazionale deve fare quadrato e spingere le due parti a silenziare le armi subito e incondizionatamente. L’esercito e le Rsf devono impegnarsi ad aprire corridoi di sicurezza per gli aiuti umanitari e per la circolazione sicura di persone e mezzi, a non attaccare il personale sanitario, umanitario, le ambulanze, gli ospedali. Ci deve essere un modo per costringerli e per controllare che lo facciano. Al momento non arrivano più medicine, rifornimenti di beni primari e se non succede qualcosa subito, sarà la catastrofe per il nostro paese.

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