Se Taiwan si è trasformata in una gigantesca mina che Xi Jinping e Joe Biden non sono ancora riusciti a disinnescare, più a sud anche l’adiacente Mar cinese meridionale (Mcm) sta diventando sempre più infido per effetto della rivalità tra Cina e Stati Uniti.

Gloria Arroyo ha riassunto così la questione: «Provate a immaginare le ripercussioni sui mercati azionari, valutari e delle materie prime in tutto il mondo di uno scontro a fuoco tra le navi da guerra dell’esercito popolare di liberazione e la settima flotta degli Stati Uniti».

«Il mondo spera che un evento così indesiderato rimanga pura immaginazione. Ma ci sono motivi per preoccuparsi – ha aggiunto l’ex presidentessa delle Filippine intervenendo il 9 novembre scorso a una conferenza sul Mar cinese meridionale nell’isola di Hainan –. Per la prima volta da anni, se non in assoluto, gruppi di portaerei cinesi e americane si sono schierate contemporaneamente nel Mar cinese meridionale, oltre a navi da guerra francesi e britanniche».

I timori di Arroyo sono condivisi da tutti e dieci i paesi riuniti nell’Associazione delle nazioni del sud est asiatico (Asean), che nel 2020 ha superato per la prima volta l’Unione europea, diventando il principale partner commerciale di Pechino, e che nei primi mesi di quest’anno ha registrato un interscambio di 410 miliardi di dollari con la Cina (+38,2 per cento rispetto all’anno scorso).
 

Il Mcm è strategico per il commercio internazionale (vi transita circa il 30 per cento delle portacontainer in circolazione) e per gli scambi e gli approvvigionamenti cinesi di materie prime.

Secondo le stime della U.s. energy information agency, nei suoi fondali sono custodite riserve di gas pari a 190.000 miliardi di metri cubi e a 11.000 miliardi di barili di greggio (della quali Cina, Vietnam, Malesia, Filippine, Brunei e Indonesia si sono già spartite l’estrazione), che rappresenterebbero solo la metà di un tesoro ancora inesplorato. Tra le zone più pescose del pianeta, vi proliferano centinaia di compagnie che conducono una pesca intensiva sfruttando manodopera migrante sottopagata (tanti i casi di documentati di lavoro forzato) e devastando l’ecosistema.

La “nine-dash line

Su questa fetta di Pacifico occidentale Pechino vorrebbe imporre la sua “nine-dash line”, un “confine” composto appunto da “nove tratti”, disposti a forma di “u”, che racchiude gran parte del Mcm, compresi gli arcipelaghi delle Spratly-Nansha (contese tra Cina, Filippine, Vietnam, Malesia, Taiwan e Brunei), e delle Paracel-Xisha (rivendicate da Cina, Vietnam e Taiwan).

Gli Stati Uniti – che non sono parte in causa in questi contenziosi territoriali – dalla fine degli anni Duemila solcano sempre più frequentemente queste acque, per far rispettare la libertà di navigazione e sostenere i loro alleati.

President Joe Biden meets virtually with Chinese President Xi Jinping from the Roosevelt Room of the White House in Washington, Monday, Nov. 15, 2021, as Treasury Secretary Janet Yellen, right, and Secretary of State Antony Blinken listen. (AP Photo/Susan Walsh)

Nelle ultime settimane, il traffico di navi e sottomarini da guerra si è fatto sempre più intenso. Il mese scorso, la “Uss Carl Vinson” ha effettuato la nona visita dall’inizio dell’anno, per una serie di esercitazioni con la britannica “Hms Queen Elizabeth”.

Il passaggio della portaerei statunitense a propulsione nucleare fa seguito a quelli delle pari grado “Nimitz”, “Reagan” e “Theodore Roosevelt”. Secondo la South China sea probing initiative, dalle portaerei Usa dall’inizio dell’anno sono partiti oltre 500 voli di ricognizione.

Wu Shicun, ha ricordato l’incidente del 2001, quando si sono scontrati un caccia cinese e uno statunitense. «Se accadesse oggi, sarebbe catastrofico, data l’attuale forza militare e nazionale della Cina», ha avvertito il presidente del think tank pechinese.

Gli ultimi arrivati sono i giapponesi, sbarcati per la prima volta nel Mar cinese meridionale il 16 novembre scorso, quando due cacciatorpediniere (“JS Kaga” e “JS Murasame”) e un sottomarino classe Oyashio hanno preso parte a un war game anti sommergibili assieme allo “USS Milius”. Nelle prossime settimane è atteso il passaggio della fregata tedesca “Bayern”.

E con l’alleanza militare trilaterale Aukus incentrata sull’Indo-Pacifico (sottoscritta il 15 settembre scorso da Australia, Regno Unito e Stati Uniti), il rilancio del Quad (Stati Uniti-Giappone-Australia-India) e lo spostamento dell’attenzione di Washington dal medio oriente all’Indo-Pacifico, nel Mcm rischia di prodursi un “ingorgo” di mezzi bellici.

Dall’altra parte la Cina non sta a guardare. Un rapporto del Pentagono della scorsa settimana rileva che la marina cinese nel 2020 ha raggiunto le 355 unità tra navi e sottomarini e che ha dato priorità assoluta alla modernizzazione delle sue forze sottomarine, operando sei sottomarini con missili balistici a propulsione nucleare (Ssbn), sei a propulsione nucleare sottomarini d’attacco (Ssn) e 46 sottomarini d’attacco diesel (Ss).

Per i paesi dell’area – che finora sono riusciti a mantenersi in equilibrio tra cooperazione e alleanze con Washington da un lato e, dall’altro, relazioni commerciali sempre più fitte con Pechino – la paura più immediata è quella di essere costretti a schierarsi.

Pechino ha fatto ricorso ancora una volta alla “geoconomia”, il concetto lanciato nel dopo Guerra fredda da Edward Luttwak ed elaborato dagli accademici Robert Blackwill e Jennifer Harris nel loro studio War by other means.

In maniera simile a quanto raccomandava oltre 2.500 anni fa Sun Tzu nell’Arte della guerra, la geoeconomia mira a sconfiggere l’avversario senza combattere, ma utilizzando a sette strumenti principali: commercio, investimenti, sanzioni, cyber-attacchi, assistenza economica, politica monetaria, politiche energetiche e sulle materie prime.

Un patto per allontanare gli Usa

Così, in occasione del XXX anniversario delle sue relazioni ufficiali con l’Asean (della quale la Cina è “partner per il dialogo”) Xi Jinping proporrà nei prossimi giorni di elevarle a “partnership strategica onnicomprensiva”.

Dopo aver aperto i suoi mercati all’Asean, nei cui paesi sta spostando le sue produzioni a minor valore aggiunto, Pechino – ha dichiarato qualche giorno fa il ministro degli esteri Wang Yi – continuerà a offrire un’assistenza vaccinale ai dieci paesi del blocco, ai quali ha già fornito 200 milioni di dosi, «fin quando la pandemia non sarà finita».

Ma i governi dell’Asean saranno d’accordo a diventare quasi alleati di Pechino? Da un punto di vista commerciale i rapporti sono sempre più stretti, grazie alla Regional comprehensive economic partnership (Asean+Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda) che entrerà in vigore il 1° gennaio 2022, diventando l’accordo di libero scambio (Fta) più grande del mondo, che includerà circa il 30 per cento del Pil, della popolazione e degli scambi globali.

Gli Usa sono rimasti spiazzati, impantanati nei conflitti mediorientali con Obama, e ora vincolati da una reazione popolare contro gli accordi di libero scambio – accusati di portarsi via il lavoro agli americani – che Biden non può ignorare. Washington al momento non è parte nemmeno del Comprehensive and progressive agreement for a trans-Pacific partnership (Cptpp), l’altro grande Fta nell’area.

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D’altro canto per l’Asean la nine-dash line della Cina viola i suoi diritti ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), di cui Pechino è parte.

Secondo Wang «la Cina e i paesi dell’Asean sono pronti ad approfondire la cooperazione e dello sviluppo». In occasione, l’anno prossimo, del XX anniversario della firma della Dichiarazione sul comportamento delle parti nel Mar cinese meridionale, Pechino punta a far passare un nuovo codice di condotta per risolvere i conflitti sulle diverse rivendicazioni territoriali nel Mcm.

Il ministro degli Esteri, Wang Yi, spera che il codice potrà essere firmato il prossimo anno quando la Cambogia (sulla quale Pechino esercita una notevole influenza) assumerà la presidenza dell’Asean.

Secondo il presidente della South China sea probing initiative Wu «è urgente stabilire regole che includano l’aria, la superficie e l’acqua, compresi i sottomarini convenzionali, i sottomarini nucleari e i sottomarini senza equipaggio, altrimenti ci saranno incidenti nel Mar cinese meridionale».

L’obiettivo della Cina è chiaro: risolvere per quanto possibile i contenziosi con i vicini asiatici con un documento che certifichi l’estraneità degli Stati Uniti ai problemi del Mcm. Ma Washington sta facendo pressione sui governi dell’area per non far passare la linea di Pechino, ed è intenzionata a intensificare i pattugliamenti per la libertà di navigazione.

Il Mcm è destinato a rimanere, assieme a Taiwan, l’altro principale hot spot asiatico del confronto geopolitico tra Cina e Stati Uniti.

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