Si è schierato con Trump twittando che aveva vinto e perciò è stato bacchettato tanto da Twitter quanto dall’Unione europea. Poi ha scritto una lettera a Bruxelles per prendere le parti di Ungheria e Polonia che hanno messo il veto sugli aiuti europei, proprio quando Repubblica Ceca e Slovacchia stanno sottraendo il loro appoggio a Viktor Orbán e spezzano per l’occasione l’asse di Visegrad. Chi è questo spalleggiatore di sovranisti di destra? Lui è Janez Janša, premier di un paese di poco più di due milioni di abitanti, la Slovenia, e ispirato, alleato nonché finanziato dal premier ungherese. Facile bollarlo a sua volta come “sovranista di destra”, tra le evidenze la retorica anti migranti e i rapporti stretti con la nostrana Lega (in particolare con il governatore del confinante Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga). Ma sotto le etichette si nascondono le complessità. Ad esempio non si può dire cheJanšasia euroscettico, anzi; in ogni suo discorso in patria cita con grande orgoglio il giorno, sempre più vicino, in cui spetterà a lui la presidenza di turno, nel 2021.Janšaha almeno due vite politiche, segnate da due arresti.

La primavera che fu

In comune con Orbán,Janša ha un esordio da liberatore e da liberale, poi contraddetto nel corso della carriera politica. Se nel 1989, nella Piazza degli Eroi di Budapest, l’attuale premier ungherese invocava la liberazione dalle truppe sovietiche, l’odierno premier sloveno nel 1988 è andato ben oltre. Già dai primi anni Ottanta oppositore dell’armata popolare jugoslava, contro la quale vergava articoli durissimi prima di essere sottoposto a censura, nel maggio 1988Janšafinisce addirittura in galera. Assieme ad altri giornalisti viene arrestato dalla polizia militare con l’accusa di aver reso pubblico un documento segreto dell’armata jugoslava in cui si prevede un putsch. Alla fine di un processo condotto senza tutela legale per lui, e in serbocroato (la lingua dell’esercito) invece che nel suo sloveno,Janšaviene condannato a un anno e mezzo di galera. Le proteste massicce della società civile per questa incarcerazione innescano il grande movimento di massa noto come “primavera slovena”, che porta infine alla democratizzazione e all’indipendenza del paese. Il primo passaggio in carcere diJanša corrisponde con la sua prima vita politica: da liberale, da liberatore e da indipendentista. Diventa ministro della Difesa del primo governo sloveno democraticamente eletto, ed è lui che difende il paese dall’invasione dell’armata jugoslava nel 1991. È la guerra per l’indipendenza, lui ne è artefice.

La deriva

Da allora Jansa è sempre rimasto nella vita politica slovena, ma la sua politica è mutata. Il giornalista e intellettuale sloveno Hladnik Ervin dice che «mentre Orbán ha capito relativamente presto che per i liberali non c’erano voti in Ungheria, Jansa ha complicato un po’ la storia: era nazionalista, ma ha chiamato il suo partito “socialdemocratico”; non era affatto un partito di sinistra, ma aveva connotazioni sociali. Jansa ha raccolto i voti di chi nella transizione dal comunismo al capitalismo aveva perso qualcosa. In ciò ha avuto abilità». La sua cifra è sempre stata aggressiva, «con un partito allineato a lui alla stregua di una macchina paramilitare». Ma esiste un momento in cui «la tendenza autoritaria» diventa esplicita. Lo storico Luka Lisjak lo racconta da dentro: c’è stato un periodo in cui era membro del partito di Janša, e un momento in cui ha deciso di distaccarsene. Coincide con la fine della prima premiership, cominciata nel 2004, attraversata dall’ingresso (entusiasta) del paese nell’Ue, e conclusa nel 2008. «Quando Janšanon viene riconfermato inizia la radicalizzazione». Lisjak all’epoca si trova a Budapest per le sue ricerche. L’Ungheria di allora è quella che si prepara al trionfo di Orbán del 2010 e alla futura deriva illiberale. «Guardavo cosa succedeva in Fidesz e intravedevo le stesse evoluzioni, anche se più lente, in Slovenia. La politica si trasformava da competizione fra visioni a delegittimazione degli avversari. Il discorso politico di Janšadiventava virulento, non più democratico».

L’arresto per corruzione

La svolta è palese quando Janša finisce in carcere, stavolta non da martire della libertà, ma per corruzione. Nel 2012 torna premier e l’anno dopo si abbatte su di lui lo scandalo dei blindati finlandesi acquistati dal governo in cambio di tangenti. Finisce in prigione, ne esce grazie alla corte costituzionale. La sua narrazione dell’episodio è quella di un “secondo martirio”, una persecuzione politica. Quando un anno fa la coalizione di Marjan Sarec si infrange, fa convergere una maggioranza sulla sua terza premiership. Succede a marzo, in emergenza sanitaria; lui chiede poteri emergenziali (c’è chi parla di “pieni poteri”, proprio come ha fatto Orbán in Ungheria). Mette i suoi uomini ovunque gli è possibile, non controlla economia e società come Orbán ma ha un’idea di spoil system a dir poco spregiudicata. Cambia pure i direttori di musei, se non sono in linea; litiga con l’accademia. Di recente 75 intellettuali hanno vergato una lettera contro la «deriva autoritaria», in tutta risposta lui li ha querelati.

L’asse con Orbán

E poi c’è quella tv, nata per essere in linea e per ospitare le sue interviste; l’ex direttore ora è ministro. Si chiama Nova 24 ed è finanziata dal capitale ungherese. È il più evidente degli appoggi che Orbán dà a Janša; di recente era iniziata un’indagine sui finanziamenti diretti dell’Ungheria al partito del premier, ma è stata interrotta (insabbiata). I due leader hanno in comune una accesa retorica anti migranti e alcuni interessi economici: a Budapest fa gola il porto di Capodistria, per dirne una. Ora sono alleati a Bruxelles, ma attenzione: gli sloveni, e Jansa, non hanno alcuna intenzione di uscire dall’Ue. Il gioco politico vuole cheJanša faccia da stampella al suo ispiratore, Orbán, e solidarizzi coi “partiti fratelli” sovranisti. Così vanno letti i tweet pro-Trump e la lettera a von der Leyen e Michel in difesa del veto polacco-ungherese. C’è però una differenza fondamentale con Orbán: in patria,Janša ha ancora chi lo sconfessa. I partiti della sua stessa coalizione di governo prendono le distanze da queste mosse pro Trump e Fidesz. L’autocrazia, a Lubiana, non è certo compiuta.

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