Alla carta geografica degli orrori del XXI secolo da oggi va aggiunto il nome di una località dell’Etiopia sconosciuta ai più: Kokob Tsibah, nel Tigrè orientale, vicino al confine con l’Eritrea.

Qui, nel periodo immediatamente precedente e nei tre mesi successivi all’Accordo per la cessazione delle ostilità tra il governo federale dell’Etiopia e il Fronte popolare di liberazione del Tigrè, firmato nel novembre 2022, i soldati delle Forze di difesa eritree (alleate con l’esercito di Addis Abeba nei conflitto contro i gruppi armati tigrini scoppiato due anni prima) hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità di dimensioni spaventose.

Ci sono voluti mesi, ad Amnesty International, per svolgere ricerche esaustive: decine di interviste con testimoni diretti, familiari di vittime, sopravvissuti, esponenti di organizzazioni della società civile, medici e funzionari dell’amministrazione locale, oltre all’analisi di immagini satellitari, hanno contribuito alla stesura di un rapporto, pubblicato oggi, che contiene resoconti di violenze efferate e impunite contro la popolazione civile tigrina. Un rapporto inviato anticipatamente per commenti, il 17 agosto, ai governi di Eritrea ed Etiopia, cui non è seguita alcuna risposta.

Mentre quella piccola parte del mondo che non si era distratta nei 24 mesi precedenti tirava un sospiro di sollievo per la firma dell’accordo di pace, sul campo i soldati eritrei facevano le loro scorribande. È stato facile identificarli, da parte dei sopravvissuti: per le divise che indossavano e per il dialetto che parlavano.

A Kokob Tsibah 40 donne hanno denunciato a un’organizzazione della società civile locale di essere state stuprate e ridotte in schiavitù sessuale: prese perché mogli, madri o altre parenti di sospetti combattenti tigrini.

Alcune sono state stuprate all’interno di una base militare delle Forze di difesa eritree, altre nelle loro abitazioni o in case occupate dalla soldataglia straniera. Amnesty International ha parlato con 11 di loro, che hanno chiesto di mantenere l’anonimato. I nomi, pertanto, sono di fantasia.

Fanta è stata stuprata nella sua abitazione ininterrottamente per tre giorni, dal 1° al 3 novembre 2022, da cinque soldati eritrei per poi essere trasferita in una base militare insieme ad altre 14 donne.

Lì gli stupri sono proseguiti: «Mi hanno stuprata per tre mesi. Non mi hanno mai lasciata in pace. Finiva uno e arrivava l’altro. Ci tenevano chiuse lì, non potevamo uscire, chiedere cure mediche, vedere le nostre famiglie».

Bezawit, 37 anni, madre di due figli, è stata portata in una foresta dopo che, il 2 novembre 2022, i militari eritrei erano entrati a Kokob Tsibah. Lì è stata stuprata da tre soldati. Poi è stata tenuta prigioniera nella sua abitazione per 90 giorni.

«Mi dicevano “puoi urlare quanto ti pare, nessuno verrà a soccorrerti”. Mi hanno stuprata per quasi tre mesi, facevano a turno, si davano il cambio come fossero degli uscieri».

Nonostante le numerose ferite riportate, le sopravvissute allo stupro e alla riduzione in schiavitù sessuale non hanno ricevuto alcuna cura. La maggior parte di loro è stata visitata solo dopo il 19 gennaio 2023, quando le forze eritree hanno lasciato Kokob Tsibah.

I massacri

Stuprate e fatte schiave le donne, uccisi gli uomini. I soldati eritrei di stanza a Kokob Tsibah ne hanno ammazzati a decine, forse più di 100, durante le perquisizioni porta a porta alla ricerca di combattenti delle forze tigrine e loro sostenitori.

Dall’inizio, nel novembre 2020, del conflitto armato nel Tigrè, Amnesty International ha documentato violazioni dei diritti umani ad opera di tutte le parti in conflitto. Per la loro numerosità e sistematicità, si tratta di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità su cui Eritrea ed Etiopia hanno l’obbligo giuridico di condurre indagini efficaci e, ove vi siano sufficienti indizi, di celebrare processi.

Un obbligo peraltro prettamente virtuale: è chiaro che gli organi della giustizia interna dei due stati non vorranno mai accertare quelle responsabilità criminali. L’11 settembre inizierà la cinquantaquattresima sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Amnesty International chiede che venga rinnovato il mandato della Commissione internazionale di esperti in materia di diritti umani sull’Etiopia. Se non accadrà, su quanto accaduto in uno dei conflitti più sporchi e crudeli del XXI secolo calerà definitivamente il sipario dell’impunità.

 

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