La risoluzione Onu su cui gli Stati Uniti hanno posto il veto in consiglio di sicurezza è passata a larghissima maggioranza all’assemblea generale: 153 a favore, 23 astenuti (tra cui l’Italia, la Germania, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi), 10 non votanti e solo 10 contrari.

Da sottolineare il fatto che il testo della mozione non includeva nessuna condanna contro Hamas o alle azioni del 7 ottobre. Contrari, oltre agli Usa e Israele stessa, solo Austria, Repubblica Ceca, Guatemala, Liberia, Micronesia, Nauru, Papua e Paraguay. Anche molti stati occidentali ed europei hanno votato a favore, come Belgio, Australia, Canada, Finlandia, Francia, Grecia, Islanda. Irlanda, Giappone, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Corea del sud, Spagna, Svezia e Svizzera. Anche se si tratta di un atto pressoché simbolico, si dimostra -come Biden avverte preoccupato- che Israele è isolatissima: nessuno o quasi ha simpatia per Hamas ma la rappresaglia israeliana con decine di migliaia di vittime civili viene quasi unanimemente considerata inaccettabile. Si tratta di un’altra vittoria (indiretta) di Hamas: isolare Israele e cavarsela a buon mercato. Alla domanda provocatoria di Paolo Mieli «al posto di Israele voi cosa avreste fatto?», Lucio Caracciolo ha risposto: «Nulla».

Ogni azione militare impulsiva (e senza prospettiva politica) favorisce i terroristi: significa cadere nella loro trappola e fare proprio ciò che vogliono. Si può comprendere la reazione emotiva dei cittadini israeliani per le atrocità del 7 ottobre o il desiderio di reagire, addirittura di vendicarsi. Tuttavia un governo deve stare più attento e ragionare lucidamente: non ci voleva un genio per immaginare che Hamas si sarebbe nascosta tra la popolazione (della quale non ha alcun rispetto) e che la reazione internazionale ai bombardamenti indiscriminati e al calvario dei civili di Gaza sarebbe stata negativa.

Di conseguenza occorreva da subito porre dei limiti alle operazioni militari perché adesso sono gli americani che le freneranno e questa sarà un’ulteriore umiliazione per Israele che non può assolutamente fare a meno di Washington. Politicamente la prima cosa da fare è liberarsi di Benjamin Netanyahu, che è il vero motivo per cui assistiamo al massacro senza scopo di Gaza. Il premier è il maggior responsabile della divisione del paese, dell’indebolimento dell’esercito e dei servizi, del fallimento securitario del 7 ottobre, ma vuole restare al potere ad ogni costo. C’è il rischio che gli israeliani si facciano (ancora una volta!) imbrogliare dalla sua abilità.

Più passa il tempo e più altri possibili leader (come Benny Gantz o Yoav Gallant) saranno chiamati in correo per l’attuale disastro, che difficilmente porterà a un qualche risultato strategico o tattico. Così costoro non potranno diventare un ricambio: Netanyahu li sta trascinando con sé nel suo gorgo di potere e morte, che Yair Lapid –l’unico finora ad aver spodestato il premier- definisce senza mezzi termini “politica malvagia”. Per definizione Hamas è un’entità ibrida che non può perdere: colpita da una parte, rispunta da un’altra in maniera proteiforme (così come sta accadendo per al Qaeda e l’Isis).

Si può indebolire temporaneamente ma non è uno stato che può essere sconfitto: si tratta di un movimento a geometria variabile con una dottrina che è un mix di religioso, nazionalismo e fanatismo, la quale può essere durevolmente affrontata solo sul piano delle idee e delle proposte politiche. E’ ovvio che si tratta di un problema per la stessa Hamas: deve ancora decidere cosa vuole diventare e la sua strategia per il futuro dipende dalla risposta che darà a tale quesito per non limitarsi soltanto a compiere attentati o attacchi di stampo terroristico. Pragmaticamente la domanda da porsi è semplice: sul mercato del futuro, i palestinesi quale alternativa hanno? Nessuna, a causa dell’umiliazione e dell’incompetenza dell’Anp, dell’affondamento degli accordi di Oslo e della violenta colonizzazione estremista nella West Bank.

Di conseguenza ai palestinesi manca un legittimo soggetto politico rappresentativo e (per ora) rimane solo Hamas. Netanyahu dice che a gestire la striscia in futuro non ci sarà né Hamas né l’Anp. Ma chi altri dunque? Israele stessa? Nessuno lo vuole davvero, in primis gli Usa. Qualcuno dei paesi arabi? Era in parte l’idea saudita ma ora se ne guarderanno bene. L’Egitto? Non ha mai voluto Gaza, nemmeno dopo la guerra del Kippur.

L’Onu? Israele è il primo a rifiutare. Risultato: a termine sarà ancora Hamas o qualcosa che le assomiglia. A meno di non favorire un reale processo negoziale che possa diventare il crogiolo della nascita di un attore politico palestinese riconosciuto.

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