«Volendo vedere una nota positiva, questa potrebbe essere la volta buona per dare uno scossione alla sinistra spagnola, da tempo paralizzata dall’agonia di Podemos», dice Paolo Gerbaudo, sociologo del King’s College di Londra e della Scuola Normale di Pisa ed esperto di politica spagnola, commentando la sconfitta subita dalla coalizione di governo spagnola alle amministrative di domenica.

Cosa possiamo dire in breve di questo voto?
Erano elezioni locali, ma molto importanti perché fissate sei mesi prima delle nazionali fissate in autunno. Sono state una vittoria di larga misura della destra, sia del Partito popolare sia dell’estrema destra di Vox. In ballo c’erano sia regioni autonome che grandi città. La più grande delusione è la mancata conferma di Ada Colau a Barcellona. Si interrompe quella che era stata l’amministrazione progressista di maggior successo. A Madrid, Isabel Díaz Ayuso si conferma in grande spolvero. Con lei il Ppe ha ottenuto una maggioranza assoluta che rende non necessaria l’alleanza con Vox. Ora Ayuso è di gran lunga la politica più popolare della destra e una possibile candidata prima ministra. Più in generale il Psoe retrocede, ma tiene. A crollare è Podemos, che ottiene solo il 3 per cento a livello nazionale e sparisce nelle regioni autonome. Insomma, un risultato tutto negativo per la sinistra, ma bisogna considerare che le vittorie delle precedente tornata erano state molto risicate.

A proposito di Ayuso e di Madrid, quanto ha avuto a che fare con la vittoria la sua posizione “aperturista” durante il Covid?

Sicuramente Ayuso è riuscita a legittimarsi come leader della destra anche grazie alla sua opposizione ai lockdown. Si è fatta paladina dei “valori” di Madrid, consentendo l’apertura di bar e ristoranti. Così ha guadagnato una popolarità fortissima tra i piccoli imprenditori, che comunque erano già abbastanza di destra. Ayuso ha un fiuto politico molto forte. Ora avrebbe quasi interesse che il Ppe perdesse le prossime elezioni nazionali, perché la prossima toccherebbe a lei quasi automaticamente.

Qual è la strategia di Sanchez nella sua scelta di sciogliere il parlamento?
Ci sono almeno tre ragioni. La prima: evitare sei mesi di analisi della sconfitta che alimenterebbero soltanto una spirale negativa. Con una nuova campagna elettorale può riprendere l’iniziativa ed evitare un dissanguamento di voti. La seconda, mettere in difficoltà Podemos, fargli pesare la sconfitta e segnare un netto distacco con gli alleati. La terza, infine, costringere la sinistra a trovare un accordo, in particolare Podemos e Sumar, i due movimenti che si sono scontrati in questa campagna elettorale.

È normale che elezioni locali abbiano conseguenze nazionali di questo livello?
Ormai, come in gran parte degli altri paesi europei, anche la Spagna vive in una campagna elettorale permanente in cui le locali valgono quasi quanto le nazionali. In questo caso, è un voto importante, ma che forse restituisce un quadro più pessimistico di quanto sarebbe legittimo aspettarsi. Sanchez e Sumar sono ancora popolari. è difficile, ma Sanchez e il Psoe possono ancora mangiarsi parte della sinistra radical e con Sumar dato intorno al 15 per cento potrebbero riuscire a continuare con un governo bicolore, anche se è molto difficile. Ora il Psoe dovrà distinguersi da sinistra radicale a cui gli elettori hanno imputato, con una certa ragione, una litigiosità che non aiutato il governo.

Quali altri temi hanno influenzato la campagna elettorale?
Si è giocato molto sulle questioni culturali e i dirittti, civili. L’elettorato di sinistra, che è tradizionalmente più di opinione e movimento, non si è mobilitato, soprattutto a causa della ligitigiosità della coalizione. L’elettorato di destra, invece, si è mosso in invece in difesa dei suoi interessi.

 

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