Per la prima volta in quarant’anni di democrazia, le elezioni presidenziali potrebbero non essere più, o non solo, un puro scontro tra peronisti e antiperonisti.
L’eterno Boca-River della politica argentina, da sempre capace di spaccare il paese e dividere anche le famiglie più unite, è diventato un inedito triello rioplatense, uno stallo tra la coalizione di governo (Unión por la Patria), la destra liberale più classica (Juntos por el Cambio) e l’ultradestra libertaria (La Libertad Avanza). A sfidarsi, ci sono la star anarcocapitalista Javier Milei, l’equilibrista Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia, già candidato nel 2015 come avversario del peronismo e anche per questo paragonato al Frank Underwood della serie House of Cards, e infine Patricia Bullrich, ministra della Sicurezza del governo di Mauricio Macri (2015-2019), ricordata per il rigore castrense con cui era solita reprimere proteste e manifestazioni (meglio se indigene), e condecorare chi, in nome dell’ordine, avesse sparato – di fronte o alle spalle – a ladri e borseggiatori.

La campagna vintage

Eppure, nonostante le strategie social e gli influencer, questa chiusura di campagna ricorda un po’ i mercatini vintage del barrio di San Telmo, con i palloni Adidas Tango consumati dal tempo e le giacche anni Ottanta tweed e spalline riapparse nel dramma quasi-oscar Argentina 1985, sul processo alla giunta militare. Più che odore di naftalina, però, si avverte il sapore acido di un riflusso, nel senso più gastrico del termine.

C’è una vicepresidente condannata per corruzione, Cristina Kirchner, che facendosi saggiamente da parte toglie riferimenti alla crociata antikirchnerista e riabilita il vecchio tema della persecuzione del peronismo e dei suoi leader, come durante i regimi militari degli anni Sessanta e Settanta.

E c’è un’ultradestra che, incorporate le consegne un tempo sovversive di ribellione e libertà, come vicepresidenta propone invece la giovane attivista Victoria Villaruel, avvocata delle famiglie delle vittime del terrorismo (non di stato, ma rivoluzionario).

In caso di vittoria (nel nome, il destino?) sarà lei a occuparsi di esercito e sicurezza.
Figlia del tenente colonnello Eduardo, eroe di mare e di terra durante l’ultima dittatura, e nipote del capitano Ernesto, ufficiale di intelligence nel centro clandestino di detenzione e tortura El Vesubio, Victoria Villaruel rappresenta la lobby revisionista/negazionista dell’ultradestra.

La teoria è ancora quella dei due demoni, formulata per salvaguardare il fragile equilibrio democratico post dittatura: equiparazione tra guerriglia e apparati repressivi dello Stato; repressione statale come misura necessaria in un contesto di guerra; crimini militari come eccessi individuali e non come parte di un sistema.
La provocazione finale: un nuovo conteggio dei desaparecidos, non più 30mila, ma 8.753. Numero ribadito senza imbarazzo da Javier Milei, tra un indice di inflazione e l’altro, durante il primo dibattito tv tra i candidati. Uno show in cui il capitolo memoria e diritti umani ha scomodato in primo luogo Patricia Bullrich, che gli anni di piombo, a dir la verità, li avrebbe anche vissuti in prima persona, nientemeno che come integrante della guerriglia peronista dei Montoneros.

Nome di battaglia: “Carolina Serrano”. Lo stesso annunciato da misteriosi manifesti elettorali sui muri di Buenos Aires lo scorso luglio, con lo slogan “Carolina Serrano Presidenta”. Una burla non rivendicata ma dalla simbologia ineccepibile, con tanto di scudo del gruppo armato, fucile automatico Fal e una sagoma femminile con il braccio sinistro alzato, ritagliata da una celebre foto della Juventud Peronista dei primi anni Settanta. In cui Pato, come la chiamavano allora, fa l’inconfondibile gesto della V: Viva Perón, Perón Vuelve, Peron o Muerte.

Requiem per una montonera

Nella sua squisita biografia, il mitico cronista di nera Ricardo Ragendorfer traccia la storia di una ragazza di classe alta, romantica, idealista, forse un po’ maldestra, cresciuta in un paese governato dai militari, dove l’utopia della giustizia sociale sarebbe dovuta coincidere con il ritorno di Juan Domingo Perón, esiliato a Madrid con immunità garantita da Francisco Franco.
Vecchio e provato, circondato da un intorno oscuro attraversato da esoterismo e massoneria, Perón perde il controllo di un fronte che include sindacalisti, burocrati, militari, correnti nazionaliste cattoliche anticomuniste e guerriglia marxista. È l’anticamera del caos che dilaga al suo rientro, e che prepara il terreno al golpe di Videla.

Per Patricia è la fine dell’innocenza: violenza paramilitare, attentati, sequestri, la fuga, l’esilio e il massacro dei compagni rimandati in patria per la disastrosa controffensiva. Una missione suicida che la cupola di Montoneros guarda però dall’Europa. In salvo, con loro, c’è anche Patricia, che in mano ha ottime carte: suo cognato infatti, il marito di sua sorella Julieta, altri non è che Rodolfo Galimberti, il più visionario e ambiguo dirigente del movimento montonero.
Una parentela a tratti ingombrante, ma con innegabili vantaggi.

Precoce pupillo di Perón, nonché suo emissario in Libano e Palestina, Galimberti è il leader della Colonna Nord di Montoneros che nel 1974 sequestra i fratelli Juan e Jorge Born, ottenendo il riscatto record di 60 milioni di dollari cash. Un tesoro depositato a Cuba, diventato ossessione di spie e militari e in parte invertito (si racconta) nella campagna elettorale di Carlos Menem, il caudillo peronista con poncho e basette che nel biennio 1989/90 indulterà militari e vertici Montoneros.

È con lui che Patricia comincia la sua metamorfosi, senza paura di «mordere la mano che gli dà da mangiare», come dirà lo stesso Menem osservandone le future trame. Nella sua parabola dalla lotta armata alla sicurezza nazionale, prima combattuta e oggi difesa, c’è l’eterno ritorno di un
passato che in fondo non è mai morto.

Anzi, citando il Requiem per una monaca di William Faulkner: non è nemmeno passato. Un misto tra il romanzo Fine della storia di Liliana Heker, la cui protagonista montonera finisce per innamorarsi del suo aguzzino e tradire la causa, e il tremendo Ricordo della Morte di Miguel Bonasso: una impietosa non fiction tra torture, miserie umane, speranze tradite e rivoluzionari trasformisti, spariti e poi riapparsi nella city di Buenos Aires, con sigaro e doppiopetto, impegnati in affari milionari con gli ex nemici di un tempo. Nei mercatini vintage, a cercare bene, si trova proprio di tutto.

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