Un terremoto politico ha scosso l’Argentina. Nelle elezioni primarie in cui le coalizioni scelgono i propri candidati a presidente, il leader ultralibertista e di estrema desta Javier Milei è stato il più votato con il 30 per cento dei voti. La coalizione di Juntos por el Cambio, al governo dal 2015 al 2019 e fino a domenica principale forza d’opposizione, ha ottenuto il 28 per cento. I peronisti-kirchneristi di Unión por la Patria, al governo dal 2003 al 2015 e dal 2019 ad oggi, si sono fermati al 27 per cento. È un risultato inaspettato che nessun sondaggio era stato in grado di anticipare.

Voto di svolta

Il voto di domenica segna una svolta nella politica argentina. I partiti che hanno governato il paese dalla crisi del 2001 in poi sono stati sconfitti da La Libertad Avanza, il partito politico fondato da Milei nel 2021. Per la prima volta la principale forza politica del paese è un partito d’ispirazione ultraliberista e di estrema destra mentre il peronismo è la terza forza politica del paese. Un controsenso per un paese che aveva fatto del peronismo la sua ragion di stato.

Il voto non modifica, almeno per ora, gli equilibri politici in parlamento. Il sistema politico argentino prevede elezioni presidenziali divise in tre fasi. Si vota inizialmente per le Paso (primarie aperte, simultanee e obbligatorie) in cui le coalizioni offrendo agli elettori la possibilità di scegliere il candidato presidente, vicepresidente e i candidati. Successivamente si vota per le elezioni generali in cui viene eletto presidente chi riesce a ottenere il 45 per cento dei voti o almeno il 40 per cento dei voti e uno scarto del 10 per cento dalla seconda coalizione. In caso contrario si va al ballottaggio tra le due forze più votate.

Le elezioni primarie sono state quindi soltanto il primo passo. Il 22 ottobre si terranno le elezioni generali e il 19 novembre il ballottaggio. Ma il risultato di domenica è utile perché, oltre a definire i candidati, fornisce un’indicazione sulle intenzioni di voto in un paese in cui i sondaggi sono considerati inaffidabili. Tutti i sondaggisti erano concordi nel piazzare Milei al terzo posto intorno al 20 per cento.

Vittoria di Pirro

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Una delle maggiori incognite del voto era la definizione del candidato presidente all’interno della coalizione di Juntos por el Cambio. L’elezione interna è stata vinta comodamente da Patricia Bullrich, ex ministra della sicurezza dal 2015 al 2019, e considerata un falco del partito. La sua principale proposta economica è quella di promuovere uno shock economico per rilanciare il paese. Secondo posto per Horacio Rodriguez Larreta, governatore uscente della città di Buenos Aires, considerato una colomba e fautore di un approccio più distensivo.

Ma la vittoria di Bullrich rischia di essere una vittoria di Pirro. Per mesi la sua coalizione ha pensato di essere la principale forza d’opposizione per poi ritrovarsi seconda. Adesso dovrà fare una campagna elettorale tra due fuochi: l’estremismo di Milei e i peronisti, i grandi sconfitti ma pur sempre in corsa. Peronisti che saranno guidati da Sergio Massa, attuale ministro dell’economia, incredibilmente ancora in corsa nonostante l’inflazione al 115 per cento e la povertà al 43 per cento. Le tre forze politiche sono così vicine che chiunque può entrare nel ballottaggio e, soprattutto, chiunque può vincerlo.

Tre mesi d’incertezza

I prossimi tre mesi saranno quindi caratterizzati dall’incertezza, il peggior nemico dei mercati. Alla riapertura della borsa i principali titoli azionari hanno perso oltre il 10 per cento mentre il governo ha svalutato il peso argentino del 20 per cento. Una svalutazione che segue la corrida cambiaria del principale indicatore economico in Argentina, il prezzo dollaro sul mercato parallelo, passato nell’ultimo mese da 495 pesos a 560. Sono servite a poco le rassicurazioni del ministro Massa e le limitazioni cambiarie. Il governo è arrivato con grosse difficoltà finanziarie alle elezioni e non poteva intervenire nel mercato per sostenere il peso perché la banca centrale argentina non ha più riserve. Da lì la decisione di svalutare all’indomani delle elezioni. Una situazione talmente preoccupante che, a fine luglio, il Fmi ha promesso un esborso di 7,5 miliardi di dollari nella terza settimana di agosto.

L’economia sarà quindi uno dei due argomenti delle prossime elezioni. L’altro tema sarà quello della sicurezza. Da mesi l’Argentina vive un’escalation della violenza soprattutto nella periferia di Buenos Aires e a Rosario, città portuale sul fiume Paranà sempre più in mano ai narcotrafficanti. A pochi giorni dalle elezioni due crimini hanno sconvolto il paese. Il primo l’omicidio di Morena, una bambina di undici anni assaltata da ladri in motocicletta poco prima di entrare a scuola. Il secondo l’omicidio di un medico nel tentativo di rubargli l’auto.

Milei potrebbe essere stato avvantaggiato dall’andamento del dollaro e dall’insicurezza. Considerato vicino a Jair Bolsonaro e Santiago Abascal, propone idee estreme quali la privatizzazione del sistema educativo e sanitario, la dollarizzazione del paese e la chiusura della banca centrale argentina. Adesso sogna di entrare al ballottaggio e ottenere la presidenza. Il tutto mentre le altre forze politiche sperano di rimontare convincendo il 30 per cento degli argentini che non ha votato. Le elezioni argentine sono più aperte che mai. Non per niente sono chiamate le elezioni dei tre terzi.

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