Sul Kashmir indiano nuovi attacchi di droni di Islamabad, che ribadisce: «Nessuna de-escalation». E continua anche lo scambio di accuse, mentre Arabia Saudita, Iran e Regno Unito provano a mediare. Ma il conflitto è sotto osservazione anche per valutare le capacità militari e il confronto tra armi cinesi e occidentali. E Nuova Delhi avvia una stretta sull’informazione
Le tensioni tra India e Pakistan non accennano a diminuire. Le schermaglie continuano sia nei cieli, con droni volanti su entrambe le parti, sia lungo la linea di controllo nel Kashmir, con scambi di fuoco tra i due eserciti. Esplosioni sono state registrate anche nel tardo pomeriggio di venerdì 9 maggio nella città di Jammu, piombata al buio a seguito di un attacco per cui l’India ha accusato il Pakistan. E, senza nulla togliere ai raid militari, finora la vera battaglia sembra essere quella mediatica: dalle accuse reciproche di attacchi sui civili ai tentativi di controllare l’informazione, per non veder diffuse retoriche pericolose per la propria causa.
Scambio di accuse
Prosegue lo scambio di denunce tra Nuova Delhi e Islamabad. L’Aeronautica militare indiana ha accusato il Pakistan di aver lanciato nella notte tra giovedì e venerdì tra i 300 e i 400 droni, tentando intrusioni nello spazio aereo indiano. La maggior parte sarebbe stata intercettata e abbattuta, secondo le autorità militari di Nuova Delhi, che hanno comunque voluto rimarcare la provenienza turca dei droni. Oltre a sottolineare i colpi di artiglieria sparati dall’esercito pakistano e al fatto di aver mirato su obiettivi civili e religiosi, gli indiani hanno anche puntato il dito contro la scelta di Islamabad di non chiudere il suo spazio aereo civile e quindi di farsi scudo con gli aerei di linea che continuano a sorvolare il paese. Nuova Delhi ha invece confermato la chiusura di 24 aeroporti fino al 15 maggio.
Come tutta risposta, dal Pakistan il portavoce del ministero degli Esteri Shafqat Ali Khan ha accusato l’India di aver violato il diritto internazionale e di una «condotta sconsiderata» che ha portato «i due Stati dotati di armi nucleari più vicini a un conflitto di vasta portata». Per Islamabad, non ci sono prove di un coinvolgimento del Pakistan nell’attentato di Pahalgam del 22 aprile, come invece sostiene Nuova Delhi. L’attacco indiano su moschee e strutture in Pakistan è stato definito da Ali Khan un atto di «isteria bellica». E l’esercito di Islamabad ha avvertito: non ci sarà una de-escalation finché il paese si sentirà minacciato.
Censure e conseguenze civili
Poi c’è il controllo dell’informazione. L’India, infatti, ha imposto a tutte le piattaforme di streaming del paese di eliminare i contenuti provenienti dal Pakistan. Una misura drastica che riguarda le serie tv, i film, le canzoni, i podcast e i contenuti web. Tutti dovranno essere oscurati, anche quelli presenti sulle grandi piattaforme come Netflix, Disney o Spotify.
Una censura che tocca anche i social network. Come X, l’ex Twitter di proprietà di Elon Musk, che in una nota ha annunciato di aver ricevuto un ordine da Nuova Delhi: bloccare più di 8.000 account, tra cui quelli di personalità pakistane ma anche quelli di organi di informazione internazionali. In caso contrario sono pronte sanzioni o arresti per i dipendenti locali dell’azienda. Una censura a cui X, pur controvoglia, si starebbe adeguando. Il messaggio sottinteso lanciato dal paese guidato da Narendra Modi è serio: la popolazione indiana, in questo momento, non può informarsi da troppe fonti esterne né tantomeno sapere il punto di vista pakistano. E non è un bel segnale.
Come non lo è il fatto che il campionato indiano di cricket sia stato sospeso per una settimana proprio per il conflitto in corso, mentre il Pakistan ha deciso di far giocare le otto partite rimanenti del proprio torneo a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Altro segnale che desta preoccupazione sono le esercitazioni scattate nella capitale Nuova Delhi, con tanto di sirene e allarmi, per simulare la reazione ad attacchi esterni. E tra gli impatti per la popolazione civile, oltre alla scelta in India di molte scuole di chiudere e proseguire con le lezioni online, si contano anche la fuga di migliaia di persone dalle zone più al confine e la corsa all’acquisto di beni di prima necessità.
Gli occhi del mondo
Nelle ultime ore sono proseguiti gli appelli per una distensione. Anche dagli Usa, sebbene il vicepresidente JD Vance, in un’intervista su Fox News, abbia avvertito che Washington non si farà «coinvolgere in una guerra che fondamentalmente non ci riguarda». Intanto, però, è stato il turno soprattutto di Iran, Arabia Saudita e Regno Unito di cercare diplomaticamente una de-escalation. Il ministro degli Esteri iraniano, dopo essere stato a Islamabad è volato a Nuova Delhi, offrendosi come mediatore. Viaggio al contrario per il ministro di Stato per gli Affari esteri di Riad, che dopo una tappa in India, ha compiuto una visita ufficiale in Pakistan. A cercare una de-escalation, anche il Foreign secretary britannico David Lammy che al telefono ha sentito i suoi omologhi di India e Pakistan invitando alla moderazione. A ogni modo, gli occhi del mondo sono focalizzati sulla nuova crisi nella regione anche per altri motivi. Oltre ai droni di fabbricazione turca, il grosso delle armi in mano al Pakistan proviene da Pechino. È cinese il J-10 che ha abbattuto almeno due caccia indiani, tra cui un Rafale fabbricato in Francia. È forse il primo confronto tra velivoli cinesi e occidentali visto che battaglie aeree non sono così frequenti. Come riportato da Reuters, i servizi e gli apparati militari di Pechino ma anche dei paesi occidentali sono molto attivi nel cercare di reperire informazioni e intelligence su quanto avvenuto nei cieli del Kashmir. La conoscenza, d’altronde, è potere.
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