Dalla prossima settimana l'Iran porterà la produzione di uranio, nello stabilimento atomico di Natanz, al 60 per cento e verranno istallate altre mille centrifughe di nuova generazione per portare l'arricchimento atomico al livello più alto mai raggiunto. A dichiararlo l'ambasciatore Kazem Gharibabadi, rappresentante della Repubblica islamica presso l'Agenzia internazionale per l'energia atomica.

La decisione è stata presa a seguito dell'attacco alla centrale avvenuto la scorsa domenica e imputato dall’Iran proprio a Israele. A seguito dell’attacco, il portavoce del ministro degli Esteri ha avvertito che l'Iran «si vendicherà». Il presidente iraniano Hassan Rouhani, infatti, definisce l'arricchimento al 60 per cento una risposta al «terrorismo nucleare» di Israele, aggiungendo che Teheran risponderà «sicuramente ai complotti dei sionisti e questo è stato il primo passo». Nel corso di una riunione di gabinetto, Rouhani ha spiegato inoltre che le centrifughe «IR-6 arricchiscono l'uranio molto più velocemente delle centrifughe IR-1 di prima generazione».

L'attacco al sito di Natanz

L'attacco informatico alla centrale nucleare di Natanz del'11 aprile ha danneggiato diverse centrifughe nuove di zecca, inaugurate dallo stesso presidente Rouhani il giorno prima. Israele non ha ancora rivendicato l'attentato, ma l'Iran e gli Stati Uniti non hanno dubbi sulla sua colpevolezza. 

Da mesi, infatti, il presidente israeliano Benjamin Netanyahu dichiara apertamente, in ogni occasione utile, che il suo governo si oppone con tutta la sua forza a un rientro degli Stati Uniti nell'accordo sul nuclere, oggetto di discussione agli incontri bilaterali di Vienna.

Gli Stati Uniti sono usciti dal Joint common plan of action (Jcpoa) del 2015 nel 2018, su decisione dell'ex presidente Donald Trump, dopo che l'Iran aveva superato i limiti di raffinamento di uranio previsti dall'accordo sancito da Barack Obama. Inoltre, sono state imposte aspre sanzioni nei confronti dell'Iran, provando un'enorme crisi economica nel paese, a causa delle ingenti spese. Il neo eletto Joe Biden, invece, a differenza del suo predecessore ha intenzione di sanare l'intesa ed è anche disposto a ritirare le sanzioni economiche. Tuttavia, i colloqui a Vienna fra i due stati stanno avvenendo in modo indiretto per volontà di Rouhani, mediati dall'intervento delle potenze europee.  

Perchè l'arricchimento di uranio è un problema

Un incremento della raffinazione di uranio al 60 per cento comporta la violazione del Jcpoa, già violato da parte dell'Iran nel 2018. L'accordo, firmato nel 2015, stabiliva infatti che Teheran avrebbe potuto arricchire l'uranio a una gradazione non superiore al 3,67 per cento. Tuttavia, anche un arricchimento al 60 per cento non consente la creazione di armi atomiche, il vero motivo per cui è stata raggiunta l'intesa. 

La volontà di Israele di mettere a rischio il rientro di Washington nell'accordo deriva dal fatto che nel 2018 fu proprio il primo ministro Netanyahu a convincere Trump a uscire dal Jpcoa, accusando l'Iran di volersi dotare di cinque ordigni nucleari al pari di Hiroshima. Il premier israeliano, infatti, chiedeva, documenti alla mano, che l'intesa venisse modificata, ma ciò non è avvenuto. E dopo l'uscita di scena da parte degli Usa, l'Iran ha continuato a venir meno al patto. Alla luce dei fatti, è per questo che l'Iran accusa con convinzione Israele, mettendo in relazione gli attacchi nemici con i colloqui in corso a Vienna.

Durante l'ultimo colloquio a Vienna, il viceministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi ha comunicato al direttore della Agenzia internazionale per l'energia atomica, Rafael Grossi, che il suo paese ha deciso di passare a un livello di arricchimento superiore.

Biden si è mostrato disponibile a ritirare le sanzioni contro Teheran, ma il nuovo accordo prevedeva uno stop immediato delle violazioni dell'intesa da parte di Rouhani. Eppure, Teheran sembra già aver dichiarato apertamente di non mantenere fede alla richiesta. 

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