Sale a 35 il numero dei morti nelle manifestazioni per la morte di Mahsa Amini e sono oltre 700 le persone arrestate. Nei giorni scorsi l’Onu attraverso l’alto commissario per i diritti umani, Nada Al-Nashif, ha denunciato violente forme di repressione avvenute durante le proteste che sono scoppiate in più di venti grandi città, tra cui la capitale Riad. 

La morte di Mahsa

Mahsa Amini era in vacanza con la famiglia a Teheran quando, a causa del hijab (velo) indossato in modo «non appropriato», è stata arrestata dalla polizia morale iraniana. Mentre la donna era in stato di fermo sarebbe stata sottoposta a un’ora di rieducazione, al termine della quale è stata trasportata in condizioni gravissime all’ospedale per le percosse subite.

Dopo tre giorni di coma Mahsa è morta. L’auspicio di Al-Nashif che aveva denunciato le repressioni era che le indagini per accertare le cause della morte della giovane fossero fatte «in modo rapido, imparziale ed efficace da un’autorità indipendente».

Il presidente iraniano Ebrahim al Raisi ha definito i manifestanti «rivoltosi che disturbano l‘ordine e la sicurezza nel paese» e ha chiesto ai servizi di sicurezza di affrontarle con «durezza». Nei giorni scorsi al Raisi – che si trovava a New York per la 77esima Assemblea generale delle Nazioni unite – si è rifiutato di rilasciare un’intervista alla Cnn perché la giornalista non indossava il velo.

Le proteste sui social

Sui social si moltiplicano i video che ritraggono i manifestanti bruciare o gettare a terra e calpestare i veli. In Iran, infatti, per le donne è obbligatorio indossare il hijab sin dalla rivoluzione islamica del 1979. Tra i contenuti più condivisi c’è quello in cui una giovane iraniana canta la versione araba di Bella Ciao.

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