Cinque cittadini americani detenuti in Iran sono stati rilasciati lunedì in uno scambio di prigionieri con cinque iraniani detenuti negli Stati Uniti, nell’ambito di un accordo tra Washington e Teheran che prevede lo sblocco di 6 miliardi del regime degli ayatollah. I fondi iraniani erano congelati in Corea del Sud in base a quanto prevedono le sanzioni imposte all’Iran dalla comunità internazionale.

Nel primo pomeriggio le autorità iraniane hanno confermato l’arrivo del denaro e poco dopo i prigionieri americani sono decollati dall’aeroporto di Teheran con un aereo diretto in Qatar, paese che ha fatto da intermediario. L’annuncio è arrivato dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, durante una conferenza stampa. La notizia è stata poi confermata da alti funzionari dell’amministrazione Usa.

Il caso Levinson

Nelle stesse ore il presidente americano, Joe Biden, ha deciso nuove sanzioni nei confronti del ministero dell’intelligence iraniano e all’ex presidente Mahmud Ahmadinejad. L’imposizione delle misure è legata alla scomparsa di Bob Levinson, un ex agente dell’Fbi di cui non si hanno più notizie: Levinson si sarebbe recato nell’isola iraniana di Kish per conto della Cia, per poi scomparire misteriosamente. Fonti americane parlano di una sua probabile morte, mentre l’Iran non ne ha neanche confermato l’arresto. «Chiediamo al regime iraniano di fornire un resoconto completo di ciò che gli è accaduto», ha detto un funzionario di Biden.

Chi sono i prigionieri

La tv iraniana ha riferito che due dei cinque iraniani rilasciati – detenuti perché colpevoli di aver violato le sanzioni – sono atterrati a Doha (da cui proseguiranno il volo verso Teheran), mentre altri due cittadini iraniani hanno manifestato l’intenzione di restare negli Usa da liberi cittadini. Il quinto si dirigerà invece verso una nazione terza. La missione iraniana alle Nazioni Unite ha fatto sapere che la lista comprende Kaveh Lotfolah Afrasiabi, Mehrdad Ansari, Amin Hasanzadeh, Reza Sarhangpour Kafrani e Kambiz Attar Kashani.

I prigionieri che rientreranno negli Stati Uniti sono invece quattro uomini e una donna, tutti accusati di spionaggio. Tre di loro, condannati a dieci anni di carcere, sono stati identificati pubblicamente: sono Siamak Namazi, l’uomo d’affari Emad Shargi e l’ambientalista 67enne Morad Tahbaz, che possiede anche la cittadinanza britannica. Ci sono poi altri due americani, uno scienziato e un imprenditore, i cui nomi non sono stati rivelati.

I diritti umani

I cinque prigionieri americani, in possesso anche di un passaporto iraniano, erano detenuti nel carcere di Evin, la struttura della capitale nota come “università” per via del gran numero di intellettuali e studenti lì rinchiusi. Fatta costruire dallo scià Mohammad Reza Pahlavi negli anni 70, la prigione è stata spesso criticata da gruppi di attivisti come Human Rights Watch per le ripetute violazioni dei diritti umani.

Nell’agosto del 2021, diversi video postati online da un collettivo di hacker iraniani ritraevano le guardie intente a maltrattare e malmenare i prigionieri. È la stessa struttura in cui è stata rinchiusa l’italiana Alessia Piperno, accusata di aver preso parte alle proteste antigovernative dopo la morte della giovane Mahsa Amini e rilasciata a novembre, dopo una detenzione di 45 giorni.

Le accuse a Biden

Negli Stati Uniti l’accordo tra Teheran e Washington è stato criticato dai repubblicani (con Donald Trump in testa), secondo cui con questa mossa il presidente Joe Biden starebbe «rafforzando l’economia iraniana». La tesi è stata respinta dalla Casa Bianca: «I 6 miliardi potranno essere usati solo per scopi umanitari, come l’acquisto di derrate alimentari e medicinali. I nostri funzionari controlleranno che i prelievi non siano utilizzati per aggirare le sanzioni», si legge in una nota dell’amministrazione Usa.

Inoltre, i fondi iraniani saranno custoditi su conti riservati. Il presidente Ebrahim Raisi ha subito contestato le limitazioni: «Il denaro appartiene al popolo e al governo iraniano, sarà la Repubblica islamica a decidere come utilizzarlo». I diplomatici qatarioti sono favorevoli a sostenere la posizione degli Stati Uniti: all’orizzonte si vedono già le avvisaglie di un altro scontro e di un’altra opera di mediazione.

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