Mentre la tensione tra Stati Uniti e governo Netanyahu aumenta ancora dopo la strage di civili in cerca di aiuti a Gaza, i palestinesi si scelgono un nuovo primo ministro unitario, l’economista Mohammed Mustafa. Questo avviene mentre da una parte Joe Biden annuncia una bozza di risoluzione al consiglio di sicurezza dell’Onu che lega assieme tregua e liberazione degli ostaggi.

Dopo aver posto tanti veti su ogni altra risoluzione, Washington fa un passo di lato in modo da aumentare la pressione su Gerusalemme. Dall’altra il primo ministro israeliano fa approvare alla Knesset, il parlamento israeliano, una mozione contro «ogni dichiarazione unilaterale di uno stato palestinese».

Il testo è volutamente ambiguo: nessuna dichiarazione unilaterale non significa un no assolto ad un futuro stato palestinese, ma lo fa apparire tale in filigrana. Netanyahu sfrutta l’emozione prevalente oggi in Israele dove nessuno, neanche quel poco che resta della sinistra, è favorevole al dialogo coi palestinesi o ha la forza per sostenerlo. Il voto è passato con una maggioranza di 99 voti a favore – compresa anche una gran parte dell'opposizione al governo di Netanyahu – e 11, i partiti arabi, contro. I laburisti sono usciti dall’aula.

Yair Lapid il leader centrista capo dell'opposizione che non è voluto entrare nell’attuale compagine di unità nazionale- ha giustificato il suo voto a favore della mozione ricordando di essere contrario ad ogni azione unilaterale sul tema ma ha anche attaccato il premier colpevole: «Di aver inventato una minaccia inesistente».

Israele ha più volte ricordato che la nascita di uno stato palestinese può avvenire solo attraverso trattative dirette con l'Autorità nazionale palestinese e non per imposizione dall’esterno. Peccato che tali trattative sono anni che vengono rifiutate e che non siano nemmeno in vista oggi. C’è da ricordare che i palestinesi stessi hanno respinto varie volte lo stato che veniva loro offerto.

Comunque il voto alla Knesset serve soprattutto per cercare di chiudere la bocca al governo americano che continua a spingere per la tregua. Tuttavia sarà difficile bloccare Biden perché la comunità ebraica americana –di gran lunga la più importante del mondo- è anch’essa divisa sul tema, molto più incerta di quelle europee schierate in genere con l’attuale governo di Israele o almeno con la sua attuale politica.

«Sono orgogliosa delle rovine di Gaza», ha detto ai media May Golan, la ministra israeliana dell’uguaglianza sociale e delle donne: una delle tante dichiarazioni che scavano il fossato tra Israele e i suoi alleati (come quella “animali umani”). Nemmeno la considerazione del trauma del pogrom del 7 ottobre può giustificare tanta violenza dialettica espressa pubblicamente da parte di figure istituzionali. Tutti paiono immersi in un gorgo cieco di guerra e di odio ad oltranza: è proprio ciò che voleva innescare Hamas la quale contagia gli israeliani con il suo stesso veleno. La ministra May potrebbe infatti immaginare quale letale serpente striscerà fuori da quelle rovine domani.

Influenze esterne

Sul lato palestinese le cose non sono meno rigide. Si annuncia tra poco a Mosca una riunione di tutte le correnti politiche palestinesi assieme agli indipendenti per confermare il neo premier e scegliere i ministri. I cosiddetti ”tecnici” avranno un ruolo importante da svolgere perché su di loro incomberà la responsabilità della guida del nuovo governo unitario palestinese, se sarà trovato un accordo.

La novità sta nel fatto che gli israeliani sono tenuti del tutto fuori da tali trattative mentre in genere –almeno sotto il tappeto- sono sempre riusciti ad influenzare il loro avversario. Oggi come oggi nessun palestinese autorevole, nemmeno il più moderato, vuole parlare nemmeno indirettamente con chiunque in Israele.

L’idea è che il nuovo soggetto politico palestinese debba nascere soltanto da una indipendente volontà palestinese e basta. Si potrà criticare l’influenza di Mosca o di altri interlocutori (vedi gli arabi del Golfo, l’Iran o la Turchia) ma Israele è messa fuori e sarà costretta ad accettare le decisioni che verranno prese in Russia (d’altronde Netanyahu non ha nemmeno posto le sanzioni a favore dell’Ucraina aggredita…).

Certamente da Gerusalemme si grideranno tanti no ma alla fine sarà obbligata a piegarsi. Tale è il risultato della polarizzazione voluta sia da Hamas che dai post-sionisti messianici che hanno in mano il potere a Gerusalemme e controllano le colonie.

Il sionismo storico incardinato sul diritto di Israele ad esistere e a difendersi – e autorevolmente sancito da una risoluzione Onu – è stato messo internamente fuori gioco da un’ideologia suprematista che, facendo finta di esaltarlo, lo ha invece snaturato, corroso e annullato.

Il ruolo dell’occidente

L’attuale estrema polarizzazione è un processo che è andato crescendo dall’assassinio di Itzhak Rabin in poi. Hamas ha reagito con attentati terroristici ad ogni avanzamento del dialogo, non nascondendo mai la sua violenta e sanguinaria opposizione e il suo radicale antisemitismo. Purtroppo il “divide et impera” politico usato dai governi Netanyahu tra Cisgiordania e Gaza ha paralizzato l’Anp e dato ad Hamas la possibilità di rafforzarsi (ad esempio ricevendo ufficialmente aiuti finanziari). L’aver forzato una strisciante colonizzazione messianica e millenarista nella West Bank ha delegittimato l’unico soggetto politico palestinese con il quale era possibile ragionevolmente dialogare.

In altre parole si è voluto troppo ed ora il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ma tale procedimento ha intaccato anche Israele stessa che ha perso il suo patrimonio patriottico e sionista in favore di una oscura miscela ideologica iperintegralista, segregazionista e fanatica che sta conquistando lo Stato. Oggi una soluzione politica pare lontana: la stessa ipotesi dei due stati è obsoleta e dovrà essere totalmente rinegoziata.

Tuttavia la logica del realismo politico è più forte di ogni altra cosa: per uscirne occorrerà cambiare personale politico in Israele (come le prossime elezioni faranno di sicuro) ma anche accettare il rinnovato soggetto politico palestinese allo scopo di ricominciare a trattare -duramente come faceva Rabin- con esso.

Ciò che non si potrà più fare da parte israeliana è annullare la rappresentanza politica dell’avversario per poi lamentarsi che non ne possiede una (o ce l’ha solo terroristica). E da parte palestinese (e dei suoi amici) non si potrà mai più usare metodi terroristici e mettere in discussione l’esistenza di Israele. Da parte sua l’occidente dovrà vigilare che ciò accada realmente.

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