Da quando è scoppiata la guerra a Gaza, Israele ha accelerato la costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme est. Cioè in quelli che, secondo le Nazioni unite, sono a tutti gli effetti “territori occupati”. Lo rivela in una sua inchiesta il Guardian, e lo dimostrano i documenti di pianificazione ottenuti e pubblicati dal quotidiano britannico. Dietro ai progetti più controversi, che non fanno altro che esacerbare la tensione nella città delle tre religioni, ci sono ministeri e uffici governativi. Intanto in Cisgiordania non si fermano le violenze dei coloni israeliani: dal 7 ottobre sono almeno 500 le vittime civili.

Gli insediamenti a Gerusalemme est

Sono più di 20 i progetti approvati o avanzati dall'inizio della guerra a Gaza, il 7 ottobre scorso. E circa migliaia le nuove unità abitative che si stanno costruendo in tutta Gerusalemme est. «La rapidità di realizzazione di questi piani non ha eguali negli ultimi sei mesi», ha affermato al quotidiano britannico Sari Kronish, dell’organizzazione israeliana per i diritti umani Bimkom – Planners for Planning Rights. Alcuni dei progetti erano nell’aria da tempo, ma sono stati approvati «solo poche ore dopo l’attacco di Hamas», ha aggiunto l’ong.

I territori orientali della “città santa” sono stati annessi unilateralmente da Israele nel 1967, dopo la guerra dei sei giorni. La questione di Gerusalemme e del suo status continua a rimanere uno dei principali ostacoli alla soluzione dei “due popoli, due Stati”, e sono diverse le risoluzioni delle Nazioni unite che considerano quelle zone “territori occupati” dagli israeliani.

A soli 48 ore dall’attacco di Hamas è stata autorizzata l’espansione di un insediamento recintato di alta sicurezza, Kidmat Zion, nel cuore del quartiere palestinese di Ras al-Amud. Le autorità di pianificazione israeliane hanno poi approvato due nuovi insediamenti, i primi a Gerusalemme est in più di un decennio, che affiancheranno la comunità palestinese di Beit Safafa.

Un primo, Givat Shaked, sarà costruito sul lato nord-occidentale di Beit Safafa, già stato motivo di polemiche negli anni Novanta, quando era stato stoppato su pressione degli Stati Uniti per il timore che rappresentasse una minaccia per il processo di pace di Oslo. Il progetto ha ripreso slancio due anni fa, e il 4 gennaio di quest’anno è stato definitivamente approvato. Tempistiche simili per un altro progetto, Lower Aqueduct, approvato il 29 dicembre 2023. E anche per Givat Hamatos, congelato per un decennio a causa dell’opposizione internazionale, mentre il mese scorso, come riportato dal Guardian, il cantiere era pieno di operai a lavoro. 

Secondo i documenti di pianificazione ufficiali più recenti, visionati dal quotidiano britannico, il “promotore” e “richiedente” dei progetti è l’Autorità fondiaria israeliana, un ente governativo. E dietro ci sarebbe indirettamente, tramite un suo ufficio, il ministero della Giustizia di Tel Aviv.

Aumenta la tensione in Cisgiordania

«Molti dei piani di insediamento sono strategicamente designati per le aree lungo il perimetro meridionale di Gerusalemme est», ha detto Amy Cohen, di Ir Amim, una ong israeliana per i diritti umani con sede a Gerusalemme. «Se costruiti, fratturerebbero ulteriormente lo spazio palestinese e creerebbero un effetto di isolamento di Gerusalemme est da Betlemme e dalla Cisgiordania meridionale».

E proprio la Cisgiordania è un secondo fronte caldo della guerra a Gaza. Le tensioni sono aumentate dallo scorso 12 aprile, quando un pastore israeliano di 14 anni, Benjamin Achimeir, è stato trovato morto. Secondo esercito e intelligence di Tel Aviv, si sarebbe trattato di un «attacco terroristico». Centinaia di coloni israeliani hanno assaltato i villaggi palestinesi di Ramallah, Nablus e Hebron, causando almeno sette morti e decine di feriti. Sono solo le ultime delle 500 vittime civili che, secondo il ministero della Sanità dell’Autorità nazionale palestinese, si contano in Cisgiordania negli ultimi sei mesi.

Un rapporto della ong Human Rights Watch, pubblicato negli scorsi giorni, accusa i coloni, spesso spalleggiate dall’esercito, di aver espulso «almeno sette comunità» dai propri villaggi. Gli Stati Uniti e l’Unione europea chiedono da mesi al premier israeliano Benjamin Netanyahu di fermare le violenze in Cisgiordania e, da qualche settimana, hanno iniziato a sanzionare coloni e insediamenti, considerati illegali dalla maggior parte delle organizzazioni internazionali.

© Riproduzione riservata