Il governo di Benjamin Netanyahu è sempre più solo e rischia di cadere per colpa di quel fondamentalismo che lo ha tenuto in vita finora.

La resa dei conti è sempre stata rimandata, di mese in mese, fino a quando non era più possibile per le fazioni religiose che lo sostengono accettare la leva militare obbligatoria per gli haredi. Il disegno di legge che avrebbe dovuto esonerare gli studenti ultraortodossi dall’imbracciare le armi non rispetterebbe gli accordi politici presi che avrebbe promesso il premier Netanyahu ai suoi alleati. E così il partito Ebraismo della Torah unito (Utj) ha annunciato che lascerà la coalizione di governo.

L’esecutivo ne esce molto indebolito e con una maggioranza risicata con un solo seggio in più all’interno della Knesset. Con la via delle dimissioni già tracciata, anche il partito Shas sembrerebbe seguire le orme dell’Utj. Il Consiglio dei saggi della Torah si riunirà oggi a Gerusalemme per decidere se continuare a sostenere o meno Netanyahu.

«Sulla scia del grave e inaccettabile danno allo status degli studenti della Torah, il consiglio si riunirà per una discussione decisiva riguardo al proseguimento del percorso del partito nel governo», ha fatto sapere il partito che conta undici seggi. Se si ritirano anche loro, il governo cade. Secondo i media israeliani si tratta di una crisi difficile che mette a dura prova la tenuta politica della maggioranza.

La speranza del premier è quella di durare fino al 27 luglio, giorno in cui la Knesset chiuderà per l’estate e quindi avrebbe tempo per risanare la situazione e tenere in vita il governo. Una sua caduta porterebbe a uno scenario incerto e imprevedibile sul futuro della guerra a Gaza e sulle trattative in corso a Doha.

In Qatar la situazione è ancora ferma. I mediatori continuano a far pressione sulle parti per raggiungere un accordo che per il momento non sembra così vicino. Anche la Casa Bianca starebbe spingendo il governo di Benjamin Netanyahu a cercare di sciogliere il nodo principale, quello che riguarda il ritiro parziale delle truppe dello Stato ebraico.

E non è un caso se nel frattempo ci sono negoziazioni parallele al Cairo, dove egiziani, qatarioti e israeliani stanno cercando di trovare un intesa per l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia e l’evacuazione dei feriti. Con un accordo lontano, l’obiettivo è tutelare la popolazione civile già pesantemente colpita e affamata dopo ventuno mesi di guerra. Ma far entrare gli aiuti a Gaza è sempre più complicato. Decine di camion provenienti dalla Giordania sono stati attaccati dai coloni. Solo 29 dei 50 previsti lunedì sono entrati nella Striscia, gli altri hanno subito danni materiali che hanno bloccato la consegna.

Evacuazioni

A Gaza continuano le operazioni militari dell’esercito israeliano. Altre cinque persone sono state uccise in un attacco contro un’abitazione nel campo profughi di Shati a ovest di Gaza City.

Ma i bombardamenti e le incursioni via terra si intensificheranno nelle prossime ore dopo che l’Idf ha emanato un ordine di evacuazione urgente per liberare l’area di Jabalia, nel nord, e di Gaza City.

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