In una lettera indirizzata all’Onu undici economisti internazionali, tra cui Thomas Piketty, Yanis Varoufakis e Nassim Taleb, si schierano a difesa della relatrice speciale sui territori palestinesi occupati, dopo gli attacchi di Usa e Israele che ne hanno chiesto la rimozione per aver denunciato le responsabilità di decine di aziende che traggono profitto dall’occupazione
«Sentiamo il bisogno di esprimere il nostro fermo sostegno a Francesca Albanese e di incoraggiare le Nazioni unite a respingere le insistenti richieste dei governi statunitense e israeliano». Così, in una lettera aperta diffusa sui social dal greco Yanis Varoufakis, undici tra i principali economisti del mondo esprimono il proprio sostegno alla relatrice speciale delle Nazioni unite sui territori palestinesi occupati.
Un testo con cui prendono le difese di Albanese, attaccata nei giorni scorsi dagli Usa, che ne hanno chiesto la rimozione, per aver denunciato nel rapporto “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” le responsabilità di decine di aziende che traggono profitto dal massacro a Gaza. Ma per Washington non è così. Gli Usa hanno annunciato che imporranno sanzioni contro la relatrice italiana. Il segretario di Stato Marco Rubio ha definito «illegittimi e vergognosi gli sforzi di Albanese per fare pressione sulla Corte Penale Internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani». È il primo risultato della visita negli Stati Uniti del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
La lettera
«La storia ci insegna che gli interessi economici sono stati fattori chiave e facilitatori delle imprese coloniali e spesso dei genocidi da esse perpetrati». Inizia così la lettera con cui gli undici economisti, tra cui Thomas Piketty, Yanis Varoufakis e Nassim Taleb, elogiano il rapporto pubblicato il 30 giugno che, dicono, «costituisce un importante contributo alla comprensione dell’economia politica dello stato apartheid di Israele, della pulizia etnica dei palestinesi e, ora, del loro genocidio».
Nella lettera, gli economisti criticano duramente gli stati che nei giorni scorsi sono tornati a chiedere la rimozione di Albanese dal suo incarico all’Onu a causa delle sue denunce. «I governi degli Stati Uniti e di Israele, con la maggior parte dei governi europei troppo timidi per prendere posizione, chiedono alla comunità internazionale di chiudere un occhio sul genocidio in corso e, in particolare, sul ruolo chiave che le multinazionali e le aziende nazionali stanno svolgendo». Una situazione che, ribadiscono, è invece necessario sottolineare per non dimenticare quali attori agiscono in quella che definiscono «forma di dominio nota come capitalismo coloniale razziale».
In particolare, evidenziano, sono tre le conclusioni che bisognerebbe trarre dal rapporto curato da Albanese, a partire dal profitto economico che le imprese conglomerate traggono dalla guerra in corso. Le imprese che producono armamenti, in particolare, hanno proliferato grazie al raddoppio del bilancio per la difesa da parte di Tel Aviv che, proseguono, «ha riversato ingenti “investimenti” nella macchina di morte israeliana attraverso questa rete internazionale di conglomerate complici».
Il secondo aspetto da sottolineare «è che i territori palestinesi occupati da Israele hanno funzionato come laboratorio e banco di prova ideale per le Big Tech – una funzione che la transizione dall’occupazione al genocidio ha solo accentuato». Ma a sconvolgere maggiormente le coscienze dovrebbe essere il fatto che «le migliori università statunitensi ed europee dipendono finanziariamente dal rimanere legate a Israele».
Elementi che aiutano a gettare «una luce di importanza indescrivibile» su chi si sta rendendo complice delle atrocità di Israele. «Tra qualche anno – concludono – quasi tutti affermeranno di essersi opposti a questo genocidio. Ma è ora che le persone di buona coscienza prendano posizione».
Il rapporto
E in effetti il rapporto, pubblicato il 30 giugno, sembra indicare la necessità di agire con urgenza per interrompere questo capitalismo coloniale. Il documento, infatti, analizza non solo la distruzione fisica e sociale del popolo palestinese, ma anche l’impalcatura economica e politica che rende possibile questa violenza sistematica.
Secondo Albanese, Israele ha costruito un regime di apartheid fondato sull’espropriazione, la segregazione e l’annientamento progressivo dei palestinesi, con la complicità di governi e grandi imprese internazionali. Una denuncia che arriva diretta, senza usare mezzi termini: «Mentre leader politici e governi si sottraggono ai propri obblighi – si legge nel documento – troppe entità aziendali hanno tratto profitto dall’economia israeliana dell’occupazione illegale, dell’apartheid e ora del genocidio».
Ma a sorprendere è il contenuto del rapporto che non si limita a denunciare la complicità dei produttori di armamenti ma sottolinea le responsabilità di decine di aziende. E lo fa nominando in modo diretto alcuni dei principali colossi dell’economia mondiale. Da Ibm, che «opera in Israele dal 1972 addestrando personale militare e di intelligence», a Microsoft, Alphabet e Amazon che «concedono a Israele un accesso praticamente esteso a tutto il governo alle loro tecnologie cloud e di intelligenza artificiale». E poi Caterpillar, Booking, Airbnb, aziende agroalimentari e colossi dell’energia.
Una pagina alla volta, un paragrafo dopo l’altro, Francesca Albanese evidenzia le responsabilità dirette e indirette di ogni azienda sottolineando come questo processo, le cui conseguenze sono oggi più che mai evidenti, non ha avuto inizio nel 2023 ma almeno 56 anni prima, dopo gli accordi di Oslo.
Le reazioni
Come prevedibile, la pubblicazione del documento ha subito scatenato una tempesta diplomatica. Gli Stati Uniti, in una lettera dai toni durissimi indirizzata al Segretario generale dell’Onu, hanno chiesto la sua rimozione e il ritiro del documento, accusandola di parzialità e di aver oltrepassato i limiti del suo mandato.
Israele, seguendo un copione già visto, ha parlato apertamente di antisemitismo, definendo il rapporto un attacco politico mascherato da analisi giuridica. L’Europa, in gran parte, ha scelto il silenzio, evitando prese di posizione pubbliche.
A rompere l’isolamento, dunque, sono stati gli undici economisti che hanno firmato la lettera a sostegno di Albanese che, ancora una volta, si è trovata a dover subire attacchi trasversali per il suo lavoro di denuncia.
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