Etgar Keret, 55 anni, è uno dei più noti scrittori israeliani viventi, tanto più dopo la scomparsa dei giganti della letteratura Amos Oz e A. B. Yehoshua (con quest’ultimo aveva un rapporto burrascoso). Autore di tanti libri tradotti in Italia da Feltrinelli (l’ultimo Un intoppo ai limiti della galassia, 2019) Keret, figlio di sopravvissuti all’Olocausto, ispirato dall’ottimismo e dall’immaginazione del padre –  «600 giornate intere nascosto in un buco e ogni giorno immaginava una realtà diversa, come un mondo in cui i nazisti non c’erano o andavano a caccia di ebrei solo per dargli le caramelle», ricorda – è acclamato dalla critica internazionale.

«I suoi brevissimi racconti potrebbero essere descritti come parabole kafkiane, barzellette magico-realistiche», ha scritto delle sue storie il New York Times, mentre gli editori lo inseguono affinché scriva anche romanzi. Fra i vari paragoni azzardati dagli ammiratori anche quello con Woody Allen: lui spesso racconta che le sue migliori performance artistiche sono a casa, quando sale sul tavolo in mutande all’improvviso e si lascia andare, facendo morire dal ridere i familiari.

Come Yuval Noah Harari, storico antropologo divenuto super star globale con il suo Sapiens, anche Keret ha deciso di non risparmiarsi nel contesto della battaglia ideologica sulla Corte suprema israeliana, scatenata dalla riforma del sistema giudiziario del premier Benjamin Netanyahu. «Non sono mai stato in condizioni psicologiche così gravi», dice al telefono da Tel Aviv, «è difficile scendere in piazza ogni giorno per diritti che non avresti mai immaginato sarebbero stati messi in discussione».

Come valuta l’apparente passo indietro di Netanyahu che lunedì sera, in un discorso, ha messo in stand-by l’iter legislativo della riforma?

Netanyahu è in una situazione difficile: se sceglie la strada del compromesso, perderà la sua base che gli chiede misure estreme. Se non cambierà nulla, la maggioranza dell’opinione pubblica gli si rivolterà contro. Guardando alle sue decisioni passate, viene da pensare che seguirà la sua base, perché ritiene di non poter governare senza il loro sostegno.

La battaglia sulla Corte suprema ha fatto affiorare divisioni antiche nella società israeliana. Religiosi contro laici, ashkenaziti contro sefarditi.

Netanyahu ha costruito la sua carriera sull’incitamento contro Yitzhak Rabin (il fratello della moglie di Keret, il cantante Aviv Geffen, è noto anche per essersi esibito durante la grande manifestazione per la pace del 1995 in cui Rabin è stato assassinato, e sono anche parenti di Moshé Dayan ndr). E sull’incitamento contro la sinistra: «La sinistra ha dimenticato cosa significa essere ebrei», ha detto una volta a uno dei più grandi rabbini di Israele. Dopo anni di incitamento, la frattura è quasi impossibile da ricucire. I due campi ora sono quello liberale contro quello messianico dei coloni. Sarà difficile trovare un punto d’incontro con il campo religioso razzista e omofobo che si è spaventosamente allargato negli ultimi anni.

Alcuni dimostranti pro Netanyahu lamentano di essere trattati come cittadini di serie B perché le scelte del governo democraticamente eletto vengono ostacolate dalla rivolta, considerata arrogante ed elitaria. Che ne dice?

L’argomentazione dei sostenitori di Netanyahu è sbagliata. Netanyahu è stato eletto ed è in posizioni di potere da più di due decenni, ma c’è una differenza tra una normale agenda di destra e la repressione della Corte suprema e di tutti gli altri “gatekeepers” o organi di garanzia della democrazia israeliana.

Cosa l’ha disturbata di più di questi primi tre mesi di governo di ultradestra?

È difficile dire cosa mi abbia disturbato di più, perché tante cose mi hanno disturbato e mi sono sembrate inaccettabili negli ultimi mesi: la serie di leggi anti-democratiche insieme alla nomina a ministro della Polizia di un fascista di destra condannato (otto volte) e la modifica dell’ordinamento della polizia stessa in modo da garantirgli un maggiore controllo tattico e politico sugli agenti. Il fatto che Netanyahu abbia licenziato il ministro della Difesa solo per aver detto che la rivoluzione del sistema giudiziario presenta rischi per la difesa di Israele (malgrado il premier abbia comunicato attraverso un comunicato di aver sollevato Yoav Gallant dall’incarico, a oggi non ha ufficializzato con una lettera il provvedimento, stimolando congetture su possibili ripensamenti ndr). Forse il fatto che Netanyahu e i suoi ministri abbiano definito mezzo milione di manifestanti «anarchici» o «terroristi» che dovrebbero essere mandati in prigione, o che un membro del suo governo abbia definito la leader della Corte suprema «un’assassina». La lista è spaventosamente lunga.

C’è il rischio che a un certo punto, quando Netanyahu tornerà alla carica con la riforma nella sessione estiva della Knesset, la mobilitazione generale possa degenerare in una guerra civile?

Non credo che si arriverà a una guerra civile totale, ma assisteremo a un numero molto maggiore di attacchi ai sostenitori del campo liberale da parte della destra. Questa situazione potrebbe aggravarsi o causare ritorsioni indesiderate.

Gli attuali rivolgimenti forniscono anche spunti per la sua scrittura?

Non ho alcun desiderio di scrivere. In questo momento mi sento un po’ meno di un essere umano completo. Funziono, ma ho pochissime energie positive nella mia vita. Per me scrivere è impossibile senza positività. Le mie dita possono ancora muoversi velocemente sulla tastiera, ma si sentono intorpidite.

Pensa che Netanyahu abbia perso la sua cognizione della realtà? Quali sono stati i suoi errori principali?

Il Netanyahu del 2023 sembra molto più spaventato e molto meno sofisticato. Sembra aver perso la sua capacità di leadership ed essere costantemente soggetto a estorsioni dei suoi partner di coalizione. Era un bullo della politica, ma ora è diventato più che altro uno zombie, che agisce senza alcuna responsabilità o lucidità di giudizio. Il fatto che un politico veterano ed esperto come lui si sia reso per la prima volta persona non grata negli Stati Uniti dimostra come abbia perso il suo tocco magico (Biden ha detto riguardo la riforma «Israele non può continuare in questa maniera», aggiungendo che non inviterà Netanyahu a Washington nel breve termine ndr).

Cosa dobbiamo aspettarci adesso?

È difficile prevedere cosa accadrà in questo momento. La mia sensazione è che la strada per perdere la democrazia possa essere molto rapida, mentre quella per rendere Israele una democrazia più forte e un luogo più liberale in cui vivere sarà lunga e dolorosa. Siamo pronti a percorrerla. Prevedo che i negoziati falliranno rapidamente e che ci saranno altre manifestazioni di destra che porteranno ad attacchi violenti contro arabi e sostenitori del campo liberale. Speriamo che il governo, che è pieno di pazzi ed estremisti,  ripieghi su sé stesso. In caso contrario, il cammino sarà lungo e difficile. Ma saremo diligenti e pazienti, non abbiamo altre alternative.

Una sua sorella è divenuta haredi, o ultraortodossa, dopo la morte del marito in guerra, in Libano nel 1982. Ora abita a Mea Shearim, ha 11 figli e circa 50 nipoti. Cosa ne dice lei della protesta?

Non ne abbiamo ancora parlato direttamente. È un punto delicato. Lei è un’anti sionista e non vota, ma dal suo punto di vista si sente minacciata e odiata per le sue convinzioni. Nella sua narrazione è la sinistra liberale a controllare il paese, non il governo, perché vede le manifestazioni ma non segue i notiziari.

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