Chi sono i jihadisti che dal 2018 stanno devastando il nord del Mozambico? Fino a ora non sembra esserci una risposta univoca a tale domanda anche se è certamente priva di fondamento la notizia inizialmente data dai media sudafricani che si tratti di un gruppo di novanta combattenti dell’Isis fuggito dalla Siria fin sulla costa dell’oceano Indiano.

L’origine del gruppo rimane ancora un po’ misteriosa e nemmeno il nome è sicuro (qualcuno li chiama Ansar al Sunna, ausiliari della tradizione; altri Ansar al Sharia; altri ancora Swahili al Sunna, dal nome della lingua veicolare della regione; infine c’è chi parla di Ahlu Sunnah Wa Jama Aswj). Comunemente la gente li denomina shabab (portoghesizzando in mashababo), dal nome del gruppo terrorista somalo, immaginando una connessione mai realmente provata.

Un’altra tesi risale ancora più indietro: la Frelimo (Fronte di liberazione al partito al potere a Maputo) degli anni Ottanta avrebbe favorito una ristrutturazione dell’islam tradizionale mediante la creazione di un consiglio islamico a tendenza wahabita in opposizione all’islam tradizionale e confraternale più vicino all’avversa Renamo (resistenza nazionale mozambicana). Alla fine della guerra civile, il Consiglio avrebbe avuto il permesso di inviare un certo numero di studenti in Arabia Saudita. Al loro rientro, non trovando occupazione degna dei loro studi, costoro sarebbero entrati in conflitto con gli “anziani” del consiglio stesso e iniziato un processo deviante fino alla scissione e all’adesione ad Ansar al Sunna.

È bene rammentare che almeno dall’Ottavo secolo il nord Mozambico era entrato a far parte del mondo swahili e fu islamizzato abbastanza presto nel quadro dell’espansione commerciale musulmana. Le reti mercantili swahili nell’oceano Indiano operavano all’interno della sfera dell’economia che dal Golfo arabo toccava l’Asia (Malesia, Indonesia ecc.), tra l’altro legata alla tratta schiavistica orientale.

Evoluzione ibrida

Sia quel che sia, è probabile che ci troviamo di fronte a un’evoluzione ibrida, con più apporti e numerosi passaggi da un gruppo all’altro o da una tendenza ideologica all’altra, con conseguenti fratture, cambi di denominazione e di riferimenti ideologici. Da varie parti si conferma che la fonte originaria d’ispirazione del jihadismo nord mozambicano venga dalla predicazione di Aboud Rogo Mohammed, un divulgatore radicale keniano assai noto nell’area, ucciso nel 2012 in un attentato mai chiarito. Rogo fu sospettato di aver partecipato nel 1998 agli attentati contro le ambasciate Usa di Nairobi e Dar es Salaam, oltre che all’attacco all’Hotel Kikambala del 2002 a Mombasa. Arrestato, venne liberato nel 2005 per mancanza di prove. Pare che sia stato lui a formare il primo gruppo di Ansar al Sunna a Kibiti, nel sud della Tanzania. Dopo la sua morte, i seguaci avrebbero deciso di spostarsi più a sud per ragioni di sicurezza, oltre frontiera nella regione mozambicana di Cabo Delgado a maggioranza musulmana.

In maniera non diversa dalla nascita dei Boko Haram nigeriani, la prima versione dei jihadisti in Mozambico sarebbe stata salafita e non violenta, munita solo di un discorso radicale avverso all’islam tradizionale e confraternale. Dal 2014 a Palma (la cittadina dove la Total stava costruendo la sua base e oggi accerchiata) come a Mocímboa da Praia (il capoluogo di distretto occupato dagli insorti fin da agosto scorso) e in altre cittadine e villaggi vicini, costoro avrebbero creato piccole moschee in competizione con le altre, limitandosi a predicare la loro versione estremista della religione e criticando le autorità islamiche tradizionali. Si tratterebbe di una delle tante infiltrazioni salafite o wahabite, a seconda di come le si voglia chiamare.

Le testimonianze locali, in specie dei responsabili musulmani, narrano di due anni di dispute, litigi, tensioni crescenti all’interno della comunità, rotture familiari e generazionali, con figli e nipoti contro padri e nonni. L’intera collettività musulmana del nord Cabo Delgado è stata gettata nel disordine sotto lo sguardo inerte e disinteressato delle autorità e delle altre comunità. Il disinteresse per ciò che pareva una questione interna al sonnacchioso islam mozambicano è stato un errore esiziale. A un certo punto la frattura socio-religiosa è divenuta insanabile con l’espulsione dei giovani dalla comunità ufficiale. Questi ultimi hanno dunque iniziato ad auto-organizzarsi sotto la guida di predicatori estremisti, creando “villaggi liberati”.

Il paradosso storico è che nella stessa regione di Cabo Delgado era nata la Frelimo anticoloniale che vi iniziò la lotta per l’indipendenza contro il Portogallo e vi pose le basi per le prime “zone liberate”. All’inizio tra i giovani estremisti islamici vi erano anche degli stranieri, in particolare tanzaniani e alcuni somali. Un misto di concause legate agli effetti della repressione, alla diffidenza della popolazione locale e al malcontento per le condizioni socio-economiche (con conseguente afflusso di nuovi adepti), ha portato nel corso del 2016 il gruppo a radicalizzarsi ancor più, per scegliere alla fine la via delle armi tra il 2017 e il 2018, non senza subire prima una scissione. Da quel momento si inizia a parlare anche dell’affiliazione allo Stato islamico medio orientale.

All’inizio delle violenze non tutti gli osservatori erano convinti che si trattasse di jihadisti e ciò spiega anche la riluttanza del governo ad accettare gli eventi e a chiedere i necessari aiuti internazionali. Gli stessi musulmani locali, terrorizzati come tutta la popolazione della regione, hanno subito molte vittime e si rifiutano di riconoscerne delle reali caratteristiche islamiche. Molti ancora pensano che si tratti di un mix opportunistico di islam e banditismo. Altri credono che si tratti di una creazione dei trafficanti locali, in specie quelli della droga, per coprire i loro traffici.

Ciò che si sa con certezza viene dalle rare dichiarazioni degli insorti stessi che sostengono di avere come obiettivo quello di creare la nazione indipendente dei musulmani dell’Africa orientale che copra il nord del Mozambico e una parte della Tanzania, inclusa l’isola di Zanzibar, imponendo la sharia a tutta la popolazione. La furia con cui vengono cacciati i non musulmani e tutti coloro che non si adattano alla nuova situazione (si è giunti alla tragica cifra di 700mila profughi), spiegherebbe l’intento di creare una secessione territoriale. Da oltre un anno i jihadisti mozambicani affermano di essere associati allo Stato islamico, che da parte sua ha rivendicato almeno una trentina di attacchi sui propri social media.

«Islamizzazione della rivolta»

A Cabo Delgado il terreno era fertile per il radicamento di un movimento estremista. La storica povertà e arretratezza della regione a cui si sono sommate numerose dispute etniche per la terra, ne sarebbero un movente determinante. Anche fosse confermata la sua origine esterna, il jihadismo mozambicano non può essere considerato solo come un prodotto di importazione. Una forte ragione di malcontento sarebbe l’enorme disoccupazione giovanile senza sbocchi nelle ormai modeste economie della pesca e dell’agricoltura locali, travolte dall’economia dei traffici e dello sfruttamento delle risorse e materie prime. L’insorgenza jihadista sarebbe – per rubare il concetto a Oliver Roy – una forma di «islamizzazione della rivolta» in reazione alla marginalità e alla povertà, a cui non sono estranee le conseguenze provocate dall’ingombrante presenza delle grandi compagnie petrolifere e dai corrotti settori del commercio delle pietre preziose (rubini), del legno e dell’avorio. A tutto ciò si sommerebbe il pernicioso intreccio con le reti occulte di trasporto della droga che infestano la provincia.

Una parte dell’attuale giovane generazione di Cabo Delgado, frustrata dalla marginalità e delusa nel veder sfumare le mille opportunità che l’economia globalizzata aveva fatto balenare in questi ultimi anni, sarebbe così divenuta terreno fertile per i reclutatori jihadisti. L’insensibilità iniziale dell’amministrazione centrale e la successiva violenza cieca della repressione hanno fatto il resto, provocando la caduta rapida dell’intera regione nel gorgo del radicalismo islamico e del conflitto.

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