Il clima di concordia che c’è tra la Casa Bianca e il Congresso sarebbe stato semplicemente impensabile il mese scorso. Una concordia che è dovuta quasi esclusivamente alla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Ma quanto può durare però?

Il tema è centrale. Parlando ieri pomeriggio il presidente ha infatti dichiarato che gli Stati Uniti «smetteranno di finanziare la macchina da guerra» di Putin, non importando più «petrolio, gas e carbone», provvedimento sul quale c’è larga condivisione «nel paese e al Congresso», consapevoli che la difesa della libertà «è costosa». L’import di petrolio da Mosca è relativamente basso, circa l’8 per cento.

L’unico precedente simile risale al 1° agosto 1941 quando, però, sono stati gli Stati Uniti a chiudere i rubinetti del petrolio verso il Giappone, pochi mesi prima di entrare direttamente in guerra.

I desideri e la realtà

Apparentemente il consenso alla decisione è altissimo. Secondo un sondaggio pubblicato la scorsa settimana da Reuters, l’80 per cento degli americani vede con favore l’idea di pagare di più la benzina se questo serve a fermare l’avanzata russa e produrre la sconfitta di Putin. 

Ma le cose potrebbero andare diversamente: due giorni fa il prezzo della benzina ha toccato il record di 4 dollari al gallone (poco meno di 4 litri), una cifra che non si raggiungeva dal luglio 2008, anno della crisi economica legata ai mutui subprime. 

In un paese dove l’uso quotidiano dell’automobile riguarda il 91 per cento degli adulti, il problema è potenzialmente dirompente.

Da un lato i repubblicani al Congresso spingono per un inasprimento delle sanzioni. Dall’altro il gruppo al Senato cerca di capitalizzare consensi postando un’immagine corrucciata del presidente Biden in bianco e nero, come a voler suggerire di chi è la colpa di questi rincari: la politica spendacciona promossa dai democratici.

L’import russo

Quello dei rincari, quindi, potrebbe essere un altro argomento su cui l’opposizione potrà capitalizzare in vista delle elezioni di midterm di novembre. E questo pur condividendo in parte la colpa di quanto sta accadendo.

Non c’è da stupirsi visto che i repubblicani hanno accusato Biden di non aver fatto abbastanza per combattere la pandemia, pur essendo stati in prima fila per lottare contro l’obbligo di mascherina e la diffusione delle vaccinazioni, ferma al 65 per cento, anche a causa dei loro continui flirt con gli ambienti No-vax.

Al netto della politica spicciola che guarda alle prossime elezioni, c’è comunque un relativo consenso sul fatto che l’America debba essere energeticamente indipendente. Ma manca l’accordo sul “come”.

Indipendenti sì, ma come

I progressisti naturalmente vorrebbero che l’indipendenza venisse garantita da uno sviluppo massiccio delle rinnovabili, che sarebbe stato promosso dal disegno di legge Build back better, dedicato allo sviluppo infrastrutturale e alla transizione energetica, bocciato lo scorso dicembre per la compatta opposizione repubblicana e il dissenso di due senatori dem centristi come Krysten Sinema e Joe Manchin.

Quest’ultimo però è in prima fila nel chiedere di rafforzare le sanzioni sulla Russia insieme alla collega repubblicana dell’Alaska Lisa Murkowski. A ben vedere dietro questo ragionamento, trattandosi di due rappresentanti di territori produttori di materie prime, c’è l’implicita richiesta di allentare momentaneamente le regole federali in tema di emissioni.

Inoltre il governatore repubblicano dello Utah, insieme a 24 suoi colleghi, ha chiesto di far ripartire la costruzione del gasdotto Keystone Xl che porterebbe nel paese più petrolio proveniente dalla provincia canadese dell’Alberta.

Pazienza se il progetto lo scorso anno era stato realizzato soltanto per il 10 per cento e che, secondo alcune analisi, anche se fosse completo, sposterebbe ben poco in termini di prezzi. La situazione è ancora più drammatica in California, dove il gallone di benzina ha già superato i 5 dollari e mette quindi in crisi il consenso dem in uno degli stati più liberal d’America.

Come Trump

Scricchiola quindi il consenso per la transizione verde e sembra sempre di più che le politiche energetiche dell’amministrazione Biden somiglino a quelle del suo predecessore Donald Trump, che a sua volta seguiva il piano energetico presentato nel 2012 da Newt Gingrich, allora candidato alla primarie presidenziali per il partito repubblicano: massimizzare la produzione, con tutto quello che c’è, petrolio, carbone e gas, ma anche le rinnovabili, perché no.

In particolare estrarre il petrolio anche mediante il fracking, nonostante sia notoriamente dannoso per l’ambiente circostante, soprattutto per eventuali falde acquifere. Secondo un commento scritto da Karl Smith, editorialista di Bloomberg, il fracking potrebbe essere l’arma migliore da schierare contro l’invasione russa. A costo di versare dei sussidi. Un radicale ribaltamento di fronte al quale non era giunto nemmeno Trump.

E che dire del carbone, citato dal presidente tra le materie prime che non verranno più acquistate da Mosca: secondo un report del Financial Times, da inizio anno sono aumentati sia i consumi che le estrazioni sul territorio nazionale.

Un sondaggio del Marist Group ha appena registrato un lieve cambiamento di rotta per la presidenza di Biden, che avrebbe ritrovato il consenso del 47 per cento sulle sue politiche generali, cifra che sale al 52 per cento per quanto riguarda la crisi ucraina. Presto però questa apparente concordia bipartisan, che ricorda gli anni bui della Guerra fredda, potrebbe scontrarsi con la rabbia dei consumatori alla pompa di benzina. Difficile immaginarsi un partito repubblicano che decida di non approfittarne.

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