Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, era assente nella seconda e conclusiva giornata di udienza del suo ricorso contro la procedura di estradizione dal Regno Unito negli Usa. Ma il supporto da parte dei suoi sostenitori e da decine di ong in giro per i mondo non è mancato ed è stato ribadito anche fuori dal tribunale, dove erano presenti diversi manifestanti. Il verdetto, però, è rimandato. I giudici Victoria Sharp e Adam Johnson dell’Alta Corte di Londra si sono ritirati per deliberare dopo aver concluso due giorni di udienze. Secondo le attese, bisognerà aspettare qualche giorno. 

Negli ultimi giorni anche diversi leader politici si sono spesi affinché Assange rimanga nel Regno Unito ed eviti il carcere dall’altra parte dell’oceano. L’esito della sentenza era incerto fino all’ultimo, la moglie, Stella Assange, ha detto che bisogna manifestare «dimostrando che il mondo guarda, finché Julian non sarà libero».

Prima ancora della pronuncia della sentenza l’avvocata Clair Dobbin, che rappresenta Washington davanti all’Alta Corte di Londra, ha attaccato il sistema Wikileaks. Assange è andato «ben oltre» il giornalismo, ha detto Dobbin. L’australiano avrebbe danneggiato i servizi di sicurezza e di intelligence degli Stati Uniti e «ha creato un rischio grave e imminente» diffondendo centinaia di migliaia di documenti che potrebbero danneggiare e portare alla detenzione arbitraria di persone innocenti, molte delle quali dei quali vivevano in zone di guerra o sotto regimi repressivi.

Il processo e il rifugio

Nel 2019 contro Assange sono stati formulati 18 capi di accusa e sono relativi alla pubblicazione di oltre 500mila documenti riservati riguardanti le operazioni degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq. Rischia una condanna di 175 anni per violazione dello Spionage Act per aver messo a repentaglio la sicurezza nazionale pubblicando oltre 500mila documenti segreti.

Per evitare la condanna, Assange si è rifugiato prima nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove aveva ottenuto asilo politico. Ma da qualche anno si trova nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh.

Chi è Julian Assange

Alla sola età di sedici anni Julian Assange già era in grado di scrivere programmi informatici. Figlio di due produttori teatrali, fin da bambino ha sviluppato una sensibilità per temi sociali e politici che lo ha portato poi a fondare Wikileaks nel 2006.

Assange si definisce un cypherpunk dalla vena libertaria, convinto che attraverso l’uso della tecnologia si arrivi a cambiamenti concreti nel mondo reale. I suoi problemi con la giustizia iniziano con l’attività di hackeraggio per il gruppo “International Subversives”. Nel 1991, a soli vent’anni, la polizia australiana lo accusa di essersi infiltrato nel sistema informatico del Dipartimento della difesa americano. Dopo il pagamento di una multa e la buona condotta ritorna libero. 

Nel 2006 ha fondato insieme ad altri attivisti e giornalisti il sito Wikileaks, un archivio online dove sono stati pubblicati file riservati riguardo a pratiche non etiche compiute da governi, personaggi politici, banche e multinazionali. Tra i dossier più delicati pubblicati che hanno avuto un impatto sull’opinione pubblica ci sono quelli sulle condizioni carcerarie dei prigionieri di Guantanamo, documenti riguardo operazioni di riciclaggio da parte di banche e multinazionali e, infine, la diffusione di migliaia di mail di Hillary Clinton a ridosso delle elezioni presidenziali del 2016.

Il più grande successo di Wikileaks, però, è arrivato nel 2010 con la pubblicazioni di leak riguardo le attività militari statunitensi in Afghanistan e in Iraq. Il materiale, fornito dall’ex militare Chelsea Manning, rivela gli abusi perpetrati dai soldati americani e le uccisioni di civili durante le due guerre. Nei file resi pubblici emergono anche i rapporti tra Iran e Pakistan in favore dei talebani e la copertura da parte degli apparati militari statunitensi di alcuni comportamenti dei suoi soldati.

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