Da ieri il Papa è in Kazakhstan, nel cuore dell’Asia centrale; paese immenso, a maggioranza musulmana, collocato in una strategica quanto delicata posizione geografica: gran parte delle sue frontiere corrono infatti lungo i confini con Russia e Cina. Da qui Bergoglio ha lanciato il suo appello in favore della pace, della crescita della democrazia, della libertà religiosa e della collaborazione fra le fedi e i popoli. Un messaggio, inevitabilmente, legato in modo particolare al conflitto in corso in Ucraina.

Non a caso, nel suo primo discorso di fronte alle autorità politiche e civili del paese guidato dal presidente Kassym-Jomart K. Tokayev, Francesco ha ricordato come Wojtyla, pochi giorni dopo l’11 settembre, volle affrontare proprio il viaggio verso il Kazakistan per contrastare col suo pellegrinaggio, il clima di guerra totale che si respirava in quel momento storico.

«Il Kazakistan – ha affermato il pontefice – si configura quale crocevia di rilevanti snodi geopolitici: esso, dunque, riveste un ruolo fondamentale nell’attenuare le conflittualità. Qui Giovanni Paolo II venne a seminare speranza subito dopo i tragici attentati del 2001. Io vi giungo nel corso della folle e tragica guerra originata dall’invasione dell’Ucraina, mentre altri scontri e minacce di conflitti mettono a repentaglio i nostri tempi». «Vengo - ha aggiunto - per amplificare il grido di tanti che implorano la pace, via di sviluppo essenziale per il nostro mondo globalizzato».

Il nostro tempo, ha detto ancora il papa, ha bisogno «di leader che, a livello internazionale, permettano ai popoli di comprendersi e dialogare, e generino un nuovo “spirito di Helsinki”, la volontà di rafforzare il multilateralismo, di costruire un mondo più stabile e pacifico».

Quindi il vescovo di Roma ha esaltato la democrazia quale sistema politico capace di servire gli interessi di tutta la popolazione e non di pochi privilegiati, ancora ha promosso la sua idea di una religione del dialogo e dell’incontro che rifiuta fanatismo e estremismo, in tal senso ha espresso la sua ammirazione per il paese asiatico dove convivono una vasta pluralità di etnie e tradizioni culturali differenti.

Salta l’incontro con Kirill

AP Photo/Andrew Medichini

D’altro canto, Francesco è andato nella capitale Nur Sultan per prendere parte al VII Congresso dei leader mondiali delle religioni tradizionali. Un incontro interreligioso di un certo rilievo cui partecipano 108 delegazioni provenienti da 50 paesi, tra cui leader spirituali di islam, cristianesimo, buddismo, ebraismo, induismo, taoismo, zoroastrismo, shintoismo; insieme a loro anche leader politici e rappresentanti di organizzazioni internazionali.

Doveva essere questa, del resto, la location perfetta, in territorio ecclesialmente neutro, per l’incontro fra Bergoglio e Kirill, il patriarca ortodosso russo assai vicino a Putin. Nelle intenzioni della Santa sede, l’incontro con Kirill doveva essere completato da una visita lampo del pontefice a Kiev: un doppio abbraccio alle due parti in conflitto per mostrare, concretamente, che dialogare è possibile anche nei momenti più difficili.

Ma, appunto, il patriarcato di Mosca ha fatto sapere di non essere disponibile, almeno per il momento; troppo complicato sarebbe infatti da gestire l’incontro con il Papa e il suo messaggio di pace e dialogo proprio mentre infuriano combattimenti. Tuttavia, a Nur Sultan, accade anche dell’altro: nella capitale kazaka farà tappa, proprio oggi, il leader cinese Xi Jinping, al suo primo viaggio oltreconfine dopo oltre due anni (l’ultimo viaggio all’estero risale al gennaio 2020 quando si recò in Myanmar).

Xi, oggi sarà in Kazakistan, successivamente incontrerà Vladimir Putin al vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), in programma in questi giorni a Samarcanda, in Uzbekistan. Molto difficile che il capo del Partito comunista cinese e papa Francesco possano avere un colloquio, di sicuro però saranno nella stessa città per qualche ora.

L’occasione potrebbe essere comunque buona per contatti informali fra le due delegazioni, quella cinese e quella vaticana, anche considerato che è in corso di rinnovo l’accordo segreto fra Santa sede e Pechino relativo alla nomina “condivisa” dei vescovi cattolici in Cina. In questa occasione – l’intesa viene riconfermata ogni due anni dal 2018 – il Vaticano sperava di poter ottenere qualcosa in più in materia di libertà religiosa, ma l’incombere del 20esimo congresso del Partito comunista cinese che si terrà il prossimo ottobre, con il suo corollario di lotte interne, non lasciano ben sperare per ulteriori concessioni alla chiesa cattolica.

Contro il fanatismo

Francesco, tuttavia, porta in Kazakistan soprattutto un messaggio di pace e fratellanza, oltre alla preoccupazione per il rischio di un’escalation nucleare, non più così remota considerando la potenza atomica della Russia. Da rilevare che, fra i leader religiosi presenti a Nur Sultan, c’è anche un importante alleato del papa, il grande imam del centro teologico sunnita di al Azhar, al Cairo, Ahmad al-Tayyib.

Entrambi sottoscrissero nel 2019, il celebre documento sulla “Fratellanza umana”, testo al quale, secondo quanto affermato dal segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, si dovrebbe fare riferimento nella dichiarazione finale del Congresso.

Del resto durante il congresso si affronteranno questioni chiave del dialogo fra le fedi come «il contributo dei leader religiosi e dei politici nella promozione del dialogo interreligioso globale e della pace, nella lotta all’estremismo, al radicalismo e al terrorismo, soprattutto su basi religiose» e «il contributo delle donne al benessere e allo sviluppo sostenibile della società e il ruolo delle comunità religiose nel sostenere la condizione sociale delle donne».

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