Pochi giorni fa il governatore della Florida Ron DeSantis, qualche ora dopo il caucus repubblicano dell’Iowa del 15 gennaio, aveva commentato amaramente dopo il trionfo di Donald Trump: «Potete essere una repubblicano insignificante ma se baciate il suo anello dirà che siete meravigliosi». Il risultato del 51 per cento per l’ex presidente contro il 21 per cento peraltro si trattava di un verdetto abbastanza netto nel primo contest elettorale per scegliere il candidato presidente del principale partito conservatore statunitense. E DeSantis aveva investito il grosso delle sue risorse proprio nel piccolo stato rurale. Meno di una settimana dopo la stessa persona si è ritirata dalla campagna elettorale e ha annunciato il suo sostegno a Donald Trump con una formula involuta: «Mi è chiaro che la maggioranza dell’elettorato repubblicano voglia dare una chance a Donald Trump», rimarcando però il suo disaccordo «con la nomina di Fauci» e la gestione del Covid. Il governatore ha chiuso citando una frase di Winston Churchill, che però, secondo una rapida analisi della Churchill Society, non sarebbe mai stata pronunciata dallo statista britannico. L’attribuzione più prossima al vero è quella verso Max Cleland, ex senatore democratico della Georgia.

In poche parole, DeSantis ha sintetizzato perché la sua campagna è andata così male. Occorre fare un passo indietro, tornare al 9 novembre 2022, il giorno dopo le elezioni di metà mandato, dove i dem di Joe Biden avevano fatto un risultato discreto, aumentando i numeri al Senato e perdendo di misura alla Camera, anche grazie a una serie di scelte sbagliate di Donald Trump in stati contendibili come Georgia e Pennsylvania, dove il tycoon aveva appoggiato candidati controversi. Unico motivo di sorriso era la vittoria larga di Ron DeSantis in uno stato come la Florida, per decenni usata come stato simbolo per comprendere la direzione del vento politico. Il New York Post, giornale popolare di proprietà del magnate dei media Rupert Murdoch titolò quel giorno con “DeFuture”. Sembrava che ci fosse un leader conservatore giovane e senza il bagaglio giudiziario di Trump con cui affrontare le presidenziali del 2024, anche grazie alle sue politiche risolutamente aperturiste in tempo di pandemia da Covid, per rimarcare la “libertà” individuale dei cittadini “da lockdown e vaccini”. Da quel momento, nulla è andato per il verso giusto.

DeSantis, da candidato che poteva sembrare una sorta di “Trump Più” (per anni il governatore è stato un grande alleato del presidente e non gli ha mai risparmiato elogi, tanto da citarlo in numerosi spot elettorali nella campagna da governatore del 2018) è diventato un “Trump Meno”. Senza una visione precisa che non fosse un informe mix di estremismo sui vaccini, tanto da aver vagheggiato «una commissione d’inchiesta sui danni vaccinali» accompagnate da infinite battaglie ideologiche con le scuole, alle quali contestava l’eccessivo uso di temi Lgbtq+, coronate da un’inutile battaglia legale con la Disney, accusata di aver usato “l’ideologia woke” nei suoi film e nel suo noto parco divertimenti di Disneyworld che si trova proprio a Orlando, tanto da attaccare lo status fiscale speciale della struttura ricreativa, una clamorosa violazione di uno dei pochi capisaldi repubblicani sin dalla fondazione, quello riguardante la libertà per le imprese di gestirsi a piacimento e di promuovere ciò che si ritiene giusto. Insomma, una versione decaffeinata del tycoon che non piaceva agli elettori che invece amano il suo essere fuori dalle righe e dagli schemi.

Non solo: se prima di conoscere DeSantis, l’elettore repubblicano mostrava una certa simpatia per la sua promozione delle politiche conservatrici, compresa una certa ostilità nei confronti dei “media mainstream” che certo non ha fatto bene alla promozione della sua figura presso il grande pubblico.

Prima dell’annuncio ufficiale della sua candidatura poi sono passati diversi mesi, con una disastrosa diretta flagellata dai problemi tecnici ospitata in uno spazio su Twitter insieme con il proprietario della piattaforma Elon Musk. Anche la scelta dei consulenti non è stata felicissima, a cominciare da Jeff Roe, guru della comunicazione politica che ultimamente però pare abbia un tocco speciale nel portare i candidati da lui seguiti alla sconfitta. Quindi a poco sono valsi gli endorsement della governatrice dell’Iowa Kim Reynolds e del noto leader evangelico Robert Vander Plaats abbinato a un tour delle novantanove contee dell’Iowa. A Trump è bastato molto meno. E anche i miliardari che a inizio 2023 erano corsi ad aiutare il governatore della Florida staccando corposi assegni non hanno capito molto del mood repubblicano attuale. C’è solo Trump, senza posto per le imitazioni alla DeSantis.

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