Nancy Pelosi potrebbe sbarcare a Taiwan questa notte (nel pomeriggio italiano), per una visita che rischia di far esplodere la tensione, già altissima, con Pechino.

Un viaggio che ha un solo precedente in quello compiuto nel 1997 dal suo predecessore repubblicano Newt Gingrich. La questione taiwanese è da sempre la più sensibile per la Repubblica popolare cinese (Rpc). Ma martedì quella di Xi Jinping vuole dimostrare di essere pronta a difendere con le armi la sua sovranità e integrità territoriale.

Nell’agenda della missione in Asia orientale della speaker della Camera dei rappresentanti Taipei ufficialmente non figura: solo Singapore (lunedì), poi Malesia, Corea del sud e Giappone. Ma i media taiwanesi sostengono che è martedì il giorno in cui l’esponente democratica potrebbe mettere piede sull’isola che – assieme alla penisola coreana – ci ricorda che le scorie della Guerra fredda sono tuttora in grado di intossicare il pianeta scatenando un conflitto con La diplomazia, al momento, sembrerebbe fuori gioco. Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha riferito che durante il colloquio telefonico con Joe Biden di giovedì scorso il presidente cinese Xi Jinping ha avvertito il suo omologo statunitense di «non scherzare con il fuoco». Lunedì lo stesso Zhao Lijian ha ribadito che l’Esercito popolare di liberazione «non rimarrà a guardare» se Pelosi andrà a Taiwan. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby, ha cercato di smorzare i toni dicendo che «Pelosi non ha ancora annunciato una visita a Taiwan e starà a lei decidere». «Niente è cambiato nella politica degli Stati Uniti» verso Taiwan, ha aggiunto. «Non ne sosteniamo l'indipendenza».

Perché Xi “deve” reagire

Per la leadership di Pechino – che ha scarsa dimestichezza con la separazione dei poteri – l’atterraggio in quello che considera un suo territorio della speaker della Camera significa che l’amministrazione Usa sta cambiando politica rispetto a quella seguita dal 1979 (da quando voltò le spalle a Taiwan riconoscendo la Rpc per mantenerla lontana dall’Urss) e che ora vuole sostenere le rivendicazioni indipendentiste dell’isola che si è finora limitata ad armare massicciamente.

Come in occasione del viaggio di Gingrich, anche martedì a Taipei è al potere un capo del non-stato (Taiwan è riconosciuta solo da 14 paesi) dichiaratamente indipendentista, Tsai Ing-wen.

I leader comunisti in questi giorni dovrebbero essere assorbiti dal tradizionale conclave estivo nella località marittima di Beidaihe. Xi dovrebbe concentrare tutte le sue energie sul XX congresso quando, l’autunno prossimo, chiederà ai delegati un inedito terzo mandato, un passaggio delicatissimo per il futuro della Cina. Il leader del Pcc più forte di sempre non vuole uno scontro nello Stretto che il suo esercito non è ancora preparato per vincere.

Tuttavia Xi non può “perdere la faccia” soprattutto nei confronti degli ambienti delle forze armate, alle quali deve in parte la sua ascesa politica, e di un nazionalismo che nella gigantesca intranet cinese spopola tra agit-prop, analisti militari e milioni di giovani che la pandemia ha contribuito a convincere che la Cina sia il più giusto e invincibile dei paesi.

Dunque se Pelosi stringerà la mano a Tsai, Xi sarà “costretto” a uno sfmartedìo di muscoli: sanzioni contro l’esponente democratica Usa e interruzione della cooperazione con gli Stati Uniti sui cambiamenti climatici, oltre ai cannoneggiamenti contro Taiwan e i suoi isolotti già messi in scena nelle tre precedenti crisi dello Stretto.

Se il viaggio diventa un boomerang

lunedì Pelosi ha incontrato il premier di quella Singapore amica degli Usa ma con un rapporto speciale con la Cina, una città-stato da sempre punto di riferimento per i leader statunitensi per capire che vento spira a Pechino.

Lee Hsien Loong da un lato ha dato il benvenuto allo Indo-Pacific Economic Framework (l’iniziativa di cooperazione con cui gli Usa sperano di contrastare le aree di libero scambio trans-pacifiche nelle quali Pechino fa la parte del leone) ma, dall’altro, ha sottolineato «l’importanza di relazioni stabili tra Usa e Cina per la pace e la sicurezza regionali».

Secondo i media locali, Lee ha sconsigliato caldamente a Pelosi di recarsi a Taipei. Improbabile che – salvo forse a Tokyo – la delegazione guidata dalla speaker della Camera ascolterà voci fuori dal coro: la stragrande maggioranza dei paesi che si affaccia sul Pacifico condivide un approccio non ideologico alle relazioni internazionali e vorrebbe trarre beneficio dalla collaborazione tanto con Washington quanto con Pechino.

Da questo punto di vista uno sbarco di Pelosi a Taipei potrebbe rivelarsi un boomerang, danneggiando le relazioni degli Usa con i vicini asiatici della Cina che la sua delegazione è andata a promuovere.

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