L’assalto del Congresso commesso dai sostenitori del presidente americano, Donald Trump, in occasione del voto formale sulla nomina a presidente di Joe Biden, pone diversi interrogativi sulla gestione delle proteste degenerate in un’insurrezione che ha colpito al cuore la democrazia statunitense e che ha visto la morte di quattro persone nelle ore successive. Le violenze del 6 gennaio hanno già portato alle dimissioni di diversi funzionari della sicurezza tra cui il vice consigliere presidenziale alla sicurezza nazionale, Matt Pottinger.

Un epilogo sicuramente inaspettato per un’amministrazione che aveva fatto del “Law & Order” uno dei suoi cavalli di battaglia. Lo stesso Trump è finito sotto accusa per essersi rifiutato di impiegare la guardia nazionale nella repressione dell’insurrezione obbligando il suo vice, Mike Pence, a intervenire al suo posto.

Un inizio troppo “rilassato”

Inizialmente la sicurezza del Congresso è stata affidata a duemila agenti della Capital Police chiamati a difendere uno spazio di 126 ettari. Diversi fonti interne hanno avanzato dubbi sulla decisione di dispiegare così relativamente pochi uomini per una protesta che da giorni infiammava i social e che lo stesso Trump aveva annunciato come «selvaggia». Le stranezze però erano solo iniziate. In un video pubblicato su Twitter si vedono chiaramente due agenti spostare le transenne che proteggevano il Congresso lasciando liberi i manifestanti di sciamare dentro il palazzo dove erano riuniti i deputati e i senatori intenti a confermare la vittoria di Biden. 

Un ritardo inspiegabile

L’inizio dell’irruzione dei seguaci di Trump nel Congresso è avvenuto alle 13,15 ora locale e il sindaco di Washington Muriel Bowser, ha inviato la richiesta di intervento alla guardia nazionale circa 45 minuti dopo. Il segretario alla Difesa, Chris Miller, ha però attivato l’intervento della guardia nazionale solo mezz’ora dopo. Diversi funzionari interni agli organi di sicurezza hanno detto all’agenzia Reuters di ritenere questi ritardi inspiegabili e in ogni caso ingiustificabili vista la gravità di quanto stava avvenendo e il rischio che la situazione degenerasse ulteriormente a causa della mancanza di abbastanza personale capace di fronteggiare l’emergenza. 

E se fossero stati gli Antifa?

La decisione di ritardare l’intervento della guardia nazionale ha suscitato diverse polemiche anche per via della versione riportata da diverse fonti che hanno parlato di un intervento diretto di Trump stesso per evitare che i suoi sostenitori venissero a contatto con gli agenti. In molti hanno ricordato come l’atteggiamento dell’amministrazione repubblicana è stato di segno totalmente opposto in occasione delle proteste contro il razzismo e le violenze della polizia, divampate a Washington nel maggio scorso dopo l’uccisione dell’afroamericano, George Floyd.

Per tutta la durata delle proteste, Trump aveva continuato a twittare uno dei suoi classici messaggi in stampatello: «LAW &  ORDER». Verrebbe da chiedersi quale sarebbe stata la reazione se al posto dei suoi supporter, che Trump ha continuato a definire «il popolo dell’ordine», ci fossero stati gli odiati antifa. Di certo, almeno una maiuscola l’avrebbe usata. 

© Riproduzione riservata