Osservano, imparano, memorizzano, segnalano. A poco meno di un anno dalla cerimonia di apertura, sono già gli ospiti più discussi della XXXIII edizione dei giochi olimpici e paralimpici, che si terrà a Parigi l’estate prossima: sono le centinaia di telecamere di sorveglianza che, primo in Europa, il governo francese ha deciso di dotare di intelligenza artificiale per «garantire al meglio la sicurezza» dell’evento.

Lo scorso 12 aprile, il parlamento transalpino ha approvato in via definitiva la “Loi JO”, pacchetto di provvedimenti speciali in vista dei giochi, il cui articolo 10 autorizza il «trattamento algoritmico» delle immagini catturate dalle telecamere di videosorveglianza in prossimità dei luoghi delle manifestazioni sportive e sui trasporti pubblici.

Le immagini saranno analizzate in tempo reale da software intelligenti, che rileveranno «eventi predeterminati» potenzialmente rischiosi per l’ordine pubblico e li segnaleranno immediatamente alle autorità.

Quali criteri?

Un’innovazione che desta non poche inquietudini: all’opposizione in aula della sinistra hanno fatto eco le prese di posizione di diverse organizzazioni, tra cui Amnesty International, Human Rights Watch, i principali sindacati degli avvocati e dei magistrati francesi e il Consiglio nazionale forense d’oltralpe, che ha denunciato una «violazione inaccettabile dei diritti fondamentali e del Regolamento generale sulla protezione dei dati».

A preoccupare è l’opacità del testo rispetto ad alcune questioni chiave: quali sono gli «eventi predeterminati» che le macchine impareranno a riconoscere? Chi lo stabilisce e secondo quali criteri? Chi svilupperà i software e come verranno addestrati?

Se per avere chiarimenti rispetto alle prime due domande bisognerà attendere i decreti d’applicazione, la risposta alla terza è contenuta già nel testo della legge: il governo potrà affidare lo sviluppo dei sistemi di trattamento algoritmico a società private. Nei prossimi mesi, queste potranno accedere alle immagini raccolte dalla rete di videosorveglianza nazionale in situazioni simili a quelle delle Olimpiadi e darle in pasto ai loro software per addestrarli a riconoscere tali «eventi predeterminati».

«Nonostante fossero illegali, sistemi simili erano già attivi da diversi anni in alcuni comuni francesi e gli industriali del settore facevano pressione perché venissero autorizzati a livello nazionale per legge», spiega Bastien Le Querrec, giurista presso La Quadrature du Net, associazione francese per la protezione della privacy e dei diritti informatici. «Il governo ha colto l’occasione delle Olimpiadi per legalizzare questa tecnologia.

I giochi non sono altro che un pretesto». Un dettaglio curioso sembra confermare questa tesi: la “loi JO” fissa come data di fine della “sperimentazione” il 31 marzo 2025, ben sei mesi dopo la fine dei Giochi. E Le Querrec non ha dubbi: «Anche questa data limite sparirà, come è accaduto per altre misure concepite come sperimentali e poi diventate definitive. Basta un voto della maggioranza o un intervento del governo».

Intanto, cavalcando l’onda, la destra francese prova ad alzare ulteriormente l’asticella della sorveglianza tecnologica: il 12 giugno scorso, il Senato a maggioranza conservatrice ha approvato un disegno di legge che consente alle forze di polizia di fare uso di sistemi di riconoscimento facciale nel caso di eventi di grandi dimensioni e indagini per terrorismo o per reati punibili con un minimo di 3 anni di carcere.

Difficile che il testo venga adottato, visto il parere negativo del governo e i differenti equilibri politici che vigono all’Assemblea nazionale, l’altro ramo del parlamento. Ma la proposta resta sul tavolo, pronta ad essere ridiscussa in tempi più favorevoli.

A completare il quadro di quella che i detrattori definiscono una «deriva tecno-securitaria» c’è poi la riforma della giustizia, approvata in prima lettura all’Assemblea nazionale lo scorso 18 luglio con i voti dei macronisti, dei Républicains (centrodestra) e del Rassemblement National di Marine Le Pen.

A far discutere è soprattutto l’articolo 3, che autorizza gli inquirenti ad attivare a distanza i dispositivi elettronici personali dei cittadini per accedere alla geolocalizzazione, nell’ambito di indagini per reati punibili con almeno 5 anni di carcere, o anche per catturare suoni e immagini nel caso di presunti fatti di terrorismo.

I rischi per gli attivisti

Anche in questo caso, la misura ha sollevato pesanti critiche da parte della sinistra politica e di diverse organizzazioni della società civile. «Non possiamo accettare una tale tecnica d’indagine, che mette a repentaglio tanto il diritto alla privacy quanto il segreto professionale, pilastri di uno Stato democratico», ha dichiarato tra gli altri il Consiglio nazionale forense.

Il rischio è che a finire nel mirino siano anche gli attivisti per il clima, già bersaglio di politiche di criminalizzazione da parte del governo. Tra i reati per cui sarebbe consentita l’intrusione nei dispositivi personali c’è infatti anche quello di «degradazione in banda organizzata», per il quale sono attualmente indagati 14 ecologisti che lo scorso dicembre si sono introdotti in un sito di produzione di cemento del colosso Lafarge.

C’è poi la questione delle tecniche di intrusione: «Per poter corrompere i dispositivi, lo Stato sfrutterà falle di sicurezza scovate dai servizi segreti, che non potranno essere rivelate in quanto informazioni secretate», spiega Le Querrec. «Non è neppure da escludersi che anche delle società private vengano ingaggiate per individuare le vulnerabilità».

Il tutto mentre la commissione d'inchiesta istituita dal Parlamento europeo per far luce sul caso Pegasus definisce i software di spionaggio una «minaccia per la democrazia» e raccomanda l’adozione di norme più stringenti per il loro utilizzo da parte degli Stati membri. «Con queste decisioni - continua Le Querrec -, la Francia sta dicendo all’Ue: “Me ne frego”. E sta inviando un segnale chiaro anche agli altri Stati: “Guardate, se fate come me avrete la strada spianata”. È un precedente molto inquietante».

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