Non c’è voluto molto. Meno di una settimana dopo che i 37 capi di imputazione a carico di Donald Trump sono stati resi pubblici dalla corte federale, alcuni conservatori hanno iniziato a richiedere la grazia per l’ex (e magari futuro) presidente. Sul Washington Post, Marc A. Thiessen e Danielle Pletka hanno sostenuto la concessione della grazia a Trump da parte di Joe Biden.

«Perdonando Trump, Biden proverebbe di essere un vero statista», sostengono. «Risparmiare al paese il calvario di un processo contribuirebbe a riparare il logoro tessuto politico della nazione. (Biden) darebbe prova di quel tipo di leadership che è mancata a Washington. E manderebbe Trump su tutte le furie. In una mossa Biden farebbe fuori la narrazione di un complotto del “deep state” che sta contribuendo ad alimentare il ritorno politico di Trump».

Su Politico, nel frattempo, Rich Lowry si è concentrato principalmente sui rivali di Trump alla nomination repubblicana. Se uno di questi riuscirà a sconfiggere Trump alle primarie e poi a battere Biden alle elezioni generali del 2024, il nuovo presidente repubblicano farà bene a usare il potere dell’assoluzione per drenare «il veleno dal sistema» e buttarci alle spalle un «capitolo» particolarmente «nocivo» della storia del nostro paese.

Dal momento che ho sempre pensato che non fosse bene che il dipartimento di Giustizia di Biden perseguisse Trump, sono aperto a queste argomentazioni. Come tutti e tre questi giornalisti, mi preoccupano le conseguenze a lungo termine sugli elettori di uno dei due principali partiti del paese, che guardano con sospetto l’applicazione della legge federale e che pensano che tutti i nobili appelli allo stato di diritto implichino in realtà pesi e misure distinti e faziosi e nascondano motivi più bassi, tra cui l’ambizione di neutralizzare gli oppositori politici attraverso giochi di prestigio legali.

Eppure, in entrambi i casi, gli editorialisti commettono l’errore di vedere l’ultima accusa di Trump isolata dal contesto più ampio delle difficoltà legali di Trump. Si tratta di difficoltà estremamente vaste e serie, e nessuna grazia da parte di un presidente, che venga da Biden prima del novembre 2024 o da un repubblicano dal 20 gennaio 2025, può farle sparire. Per questa ragione, la sospensione della pena nel caso dei documenti riservati non servirà a proteggere il paese dalla minaccia di Trump.

La sfida alle autorità

In entrambi gli articoli gli autori riconoscono (nelle parole di Thiessen e Pletka) che «il caso contro Trump è schiacciante». Questo è vero. Ecco perché una serie di argomenti di Trump e della sua difesa sono chiaramente falsi. Certamente Biden e il vicepresidente di Trump, Mike Pence, non sono mai stati accusati dopo essere stati trovati in possesso di documenti riservati. Ma questo perché entrambi hanno ammesso l’errore non appena è stato scoperto e hanno restituito il materiale confidenziale all’amministrazione senza incidenti.

La risposta di Trump non poteva essere più diversa. Non solo ha tenuto documenti riservati in luoghi pubblici non sicuri a Mar-a-Lago, e non solo è stato ripreso e registrato mentre si vantava di avere i documenti, mostrandoli a persone che non avevano un’adeguata autorizzazione.

Presumibilmente ha anche tentato di conservare intenzionalmente i segreti di sicurezza nazionale mentendo ripetutamente al dipartimento di Giustizia sui documenti in suo possesso e se avesse restituito tutto alle autorità, mentre trasferiva anche scatole di documenti in modo che il suo stesso avvocato non potesse avanzare un mandato di comparizione chiedendo che i documenti fossero trasferiti agli archivi nazionali.

Come ha osservato Eric Levitz sul New York magazine, la posizione dell’ex presidente e dei suoi difensori repubblicani, e cioè che sia stato preso di mira ingiustamente dal dipartimento di Giustizia usando pesi e misure diversi, politicamente motivati, è ridicola. La verità è l’esatto opposto: il procuratore speciale Jack Smith ha fatto i salti mortali per dare a Trump l’opportunità di evitare l’azione penale. Se l’ex presidente avesse solo rispettato la richiesta di restituire i documenti riservati non sarebbe mai finito per essere accusati di reati multipli

.È per questo che, nonostante la mia preoccupazione iniziale sulla bontà del processo, ho dovuto riconoscere che Smith non ha davvero avuto alternative che andare avanti con un atto d’accusa in questo caso. Trump lo chiedeva, quasi sfidando le autorità a procedere. (Che abbia fatto così perché si considerava intoccabile, perchè pensava che il processo lo avrebbe aiutato politicamente, o per altri motivi, non ne ho idea).

Questo contorno complica il caso della sospensione della pena per Trump. Come ammette Lowry: «Di solito si chiede la grazia e si esprime rimorso per ciò che si è compiuto di illecito». Eppure probabilmente né l’una né l’altra cosa si verificheranno nel caso di Trump perché l’ex presidente ritiene di non aver fatto nulla di male e di essere vittima di vessazioni ingiuste da parte di nemici politici.

Il potere limitato delle grazie

Ad ogni modo è vero che se concedere l’assoluzione potrebbe risparmiare al paese le turbolenze che sicuramente seguiranno dopo un processo, la condanna e la sentenza d’arresto di un ex residente della Casa Bianca che attualmente si sta battendo per ritornarci, farlo potrebbe valere la pena, anche se il presunto reo non esprime la propria contrizione.

Ma c’è un solo problema. Assolvere Trump per i reati che hanno portato ai 37 capi d’imputazione nel caso dei documenti riservati non servirà a nulla per scagionarlo dalle accuse che sono già state presentate contro di lui dal procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg.

O dalle potenziali accuse della contea di Fulton, in Georgia, legate ai tentativi di intimidazione nei confronti del segretario di stato della Georgia per “trovare” voti che avrebbero ribaltato la situazione di Trump nelle elezioni del 2020.

O dalle accuse, potenzialmente le più gravi di tutte, che potrebbero scaturire dalle indagini di Smith, ancora in corso, sulle parole e le azioni di Trump che hanno portato e accompagnato la rivolta insurrezionale a Capitol Hill durante il pomeriggio del 6 gennaio 2021.

Si tratta di un totale complessivo di quattro possibili incriminazioni: due federali e due a livello statale. Diverse cose derivano da questa serie di accuse. In primo luogo, se anche il presidente attuale o uno futuro assolvesse Trump dalle accuse sulla cattiva gestione di documenti confidenziali, sarebbe necessario concedere una grazia separata per eventuali future accuse federali collegate al 6 gennaio.

Poiché quest’ultimo caso riguarda una cosa che assomiglia parecchio a un tentativo di autogolpe, per quanto mal eseguito, sarebbe sconsiderato, da parte di un presidente in carica, concedere una tale grazia senza almeno un’ammissione di colpa e un’espressione di rimorso da parte dell’imputato.

Un’assoluzione concessa senza ammissione di colpevolezza o espressione di rimorso avrebbe l’effetto di scagionare Trump per le sue azioni dopo le elezioni del 2020, dimostrando così a Trump stesso, o ad altri potenziali cattivi attori, che atti di aperta sovversione elettorale e sfida al trasferimento pacifico del potere possono essere intrapresi senza il timore di ritorsioni legali.

E se anche questa seconda grazia fosse concessa, Trump si troverebbe comunque ad affrontare un processo a New York e un possibile atto d’accusa in Georgia, ognuno dei quali potrebbe portare alla condanna e al carcere. E in questi casi non ci sarebbe possibilità di grazia presidenziale, poiché il potere di grazia secondo l’articolo II della Costituzione degli Stati Uniti si applica solo ai reati federali.

(Se Trump possa essere perdonato dallo stato di New York o della Georgia è un’altra questione. Anche se, come spiega questo utile articolo di Politico, non è particolarmente probabile in nessuno dei due stati). Se gli elettori repubblicani (incoraggiati da demagoghi nei media e in carica) sono convinti che Trump sia stato preso di mira ingiustamente, non riesco a immaginare che si plachino vedendolo ricevere due grazie presidenziali per crimini federali e tuttavia affrontare un possibile processo, condanna, e la reclusione in altre giurisdizioni.

Cosa ci aspetta

Il paese è su una strada pericolosa, con conseguenze potenzialmente disastrose. Ma per quanto possiamo desiderare che Joe Biden o un futuro presidente repubblicano usino semplicemente il potere di grazia per drenare il “veleno dal sistema”, nelle parole di Lowry, non esiste una bacchetta magica del genere. Donald Trump si è cacciato in ognuno di questi pasticci legali, e il suo destino sarà ora deciso da giudici e giurie, proprio come il nostro destino politico collettivo sarà determinato in larga misura dal modo in cui Trump e i suoi più devoti sostenitori risponderanno a questi risultati. L’unica via d’uscita è passarci attraverso.


Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista online Persuasion. Traduzione di Monica Fava

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