Raramente Israele ha lanciato un’offensiva militare di vasta scala contro i militanti palestinesi di Gaza citando minacce imminenti, piuttosto che per rispondere ad attacchi concreti, quand’anche limitati. È però quanto avvenuto nella giornata di venerdì, con l’inizio dell’operazione “Sorgere dell’alba” e con l’ondata di raid aerei contro obiettivi del movimento armato “Jihad islamica”. L’operazione potrebbe terminare stasera con un cessate il fuoco mediato dall’Egitto, ma l’attacco “preventivo” costituisce comunque un episodio insolito.

Il gruppo Jihad ilsmaica, legato all’Iran e i cui dirigenti si trovano attualmente in visita a Teheran, aveva indotto le autorità a imporre un lockdown per ragioni di sicurezza alle comunità israeliane a ridosso della Striscia promettendo ritorsioni per l’arresto di un suo importante esponente in Cisgiordania lunedì scorso. L’insofferenza crescente dei residenti è bastata per convincere il premier ad interim, Yair Lapid, a rompere gli indugi, e lanciare un’operazione preventiva contro i miliziani.

«Voglio ringraziare il signor Lapid, ha davvero le palle», ha detto durante un’intervista alla tv israeliana un residente di Sderot, una città nel sud di Israele nota per essere particolarmente esposta agli attacchi dalla Striscia. «Vai avanti così ancora uno o due mesi, e metterai in pericolo Bibi», ha aggiunto, alludendo alle elezioni previste per il primo novembre e al leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu.

Guerra ed elezioni

L’attacco sferrato contro la Striscia arriva in una fase politica particolare in Israele. A fine giugno è caduto il cosiddetto “governo del cambiamento”, che aveva messo fine a 12 anni e mezzo consecutivi di leadership di Benjamin Netanyahu. Contestualmente Lapid, alleato politico dell’ex premier Naftali Bennett, ha preso per la prima volta le redini del paese. Ha quattro mesi per brillare in vista del ritorno alle urne.

Lapid è un raro caso di premier israeliano che non può vantare trascorsi militari importanti, avendo svolto il proprio servizio di leva come giornalista di una pubblicazione dell’esercito prima di una carriera spesa perlopiù negli studi televisivi come presentatore e uomo di spettacolo. Ecco allora che la mancanza di autorevolezza nel campo della difesa è considerato il suo tallone d’Achille in politica: è facile comprendere come il pugno duro su Gaza possa aiutarlo ad affermarsi in campagna elettorale.

«Israele non rimarrà inerte di fronte a chi vuole nuocere ai suoi cittadini. Questo governo ha una politica di tolleranza zero per qualsiasi tentativo di attacco, di qualsiasi genere, da Gaza verso il territorio israeliano», ha dichiarato Lapid. «Le organizzazioni terroristiche non detteranno l’agenda nella zona a ridosso di Gaza», ha aggiunto, alludendo al “lockdown” preventivo degli ultimi giorni. «Israele non vuole una guerra di larga scala a Gaza, ma non ha neppure timore di affrontarla».

Le ultime dal campo

Le vittime dopo due giorni di operazione “Sorgere dell’alba” sono oltre 30, tutte dalla parte palestinese e includono anche diversi bambini. Fra queste ci sono anche Taysir al Jabari, un dirigente del movimento nella Striscia, e una bambina di 5 anni. I feriti sarebbero oltre un centinaio, secondo il ministero della Salute palestinese. Nel frattempo il portavoce dell’esercito israeliano ha fatto una figuraccia in diretta televisiva quando, spiegando l’importanza strategica di un obiettivo come al Jabari, si è completamente dimenticato come si chiamasse.

La rappresaglia dei miliziani palestinesi invece è iniziata verso le 21 di venerdì. Oltre 780 razzi sono stati lanciati verso lo stato ebraico, fino alla zona di Tel Aviv. Solo una parte ha raggiunto Israele e di questi il 95 per cento è stato intercettati dal sistema di difesa anti missilistica “Iron Dome”. Non ci sono di conseguenza né vittime né feriti gravi per ora da parte israeliana. La televisione conta piuttosto casi di “nifgaei haradà”, cioè persone colpite da attacchi d’ansia mentre raggiungevano i bunker durante gli allarmi, e qualche ferito lieve.

L’origine dell’escalation

All’inizio del mese le truppe israeliane avevano arrestato il sessantaduenne dirigente della “Jihad islamica” Bassam al Saadi durante un raid nella cittadina di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale. Durante l’ultimo anno di rara quiete sul confine con Gaza, dopo la guerra degli 11 giorni del maggio 2021, Jenin era diventata il punto di maggiore frizione del conflitto. Durante uno degli scontri a Jenin è rimasta uccisa, l’11 maggio, la nota giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh.

Dopo l’arresto di Bassam al Saadi, documentato da video in cui lo si vede mentre viene trascinato a terra dai soldati, il movimento armato sostenuto dall’Iran ha promesso una rappresaglia contro Israele. Per quattro giorni consecutivi il governo Lapid ha deciso di mettere in sicurezza il perimetro della Striscia di Gaza chiudendo strade, interrompendo il collegamento ferroviario e limitando le attività dei civili nella zona frontaliera. Infine venerdì ha sferrato l’attacco preventivo.

Ora la portata e durata del conflitto dipendono in particolare dal coinvolgimento o meno di Hamas, le cui capacità militari sono superiori a quelle di Jihad islamica. Per ora il movimento islamista ha evitato di partecipare agli attacchi, in parte per salvaguardare alcuni recenti progressi politici con Israele, fra cui l’aumento dei permessi di lavoro concessi ai residenti di Gaza.

La Striscia martoriata

A partire dal ritiro israeliano nel 2005 e dalla successiva vittoria elettorale e presa del potere da parte di Hamas, Israele ha lanciato numerose operazioni militari contro la Striscia.

Le più violente hanno causato la morte di migliaia di palestinesi e provocato nuove ondate di profughi, in una regione in cui circa il 70 per cento degli abitanti discende da rifugiati della guerra del 1948.

Nel frattempo le condizioni economico-sanitarie del territorio, tenuto sotto embargo sia da Israele che dall’Egitto, sono precipitate: già nel 2015, all’indomani dell’operazione del 2014, le Nazioni unite avevano previsto che sarebbe divenuto “invivibile” entro il 2020.

Gaza è una delle zone più densamente popolate del mondo e conta circa due milioni di abitanti in un territorio di 365 chilometri quadrati da cui è difficile uscire. Acqua ed elettricità sono merci rare e, secondo l’Onu, oltre la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà.

Il 12 settembre 2021 Lapid, che all’epoca ricopriva solo la posizione di ministro degli Esteri, aveva proposto un piano di rilancio per la Striscia. In cambio di una tregua di lungo termine e dell’adesione di Hamas a una serie di princìpi, fra cui il riconoscimento di Israele, lo stato ebraico avrebbe promosso la prosperità economica e la riqualificazione di infrastrutture e servizi, con l’aiuto di investimenti degli Emirati Arabi Uniti. Invece di dare seguito alla sua proposta, però, Lapid ha deciso di lanciare una nuova guerra.

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