«Non è il momento giusto». Così il presidente serbo Aleksandar Vučić ha annunciato l’intenzione di cancellare l’EuroPride. L’evento, in programma tra il 12 e il 18 settembre nella capitale Belgrado, consiste in una settimana di iniziative che celebrano la comunità Lgbtq+, tra parate, conferenze e spettacoli. Vučić ha motivato la decisione controversa citando una serie di problemi economici e geopolitici che il paese sta attraversando, tra cui le recenti tensioni con il Kosovo. «Non ne sono contento, ma ora non siamo in grado di gestire la manifestazione», ha detto alla stampa il 27 agosto.

Gli organizzatori dell’EuroPride però non sono d’accordo e intendono proseguire con l’organizzazione dell’evento, considerato un passo avanti fondamentale nella lotta del paese per l’uguaglianza e i diritti delle minoranze. Non a caso quest’anno il motto della manifestazione dovrebbe essere proprio “It’s time”, è ora.

Le incertezze che circondano l’EuroPride di Belgrado sono solo l’ultimo segnale di una situazione paradossale con cui la Serbia convive ormai da cinque anni. La prima ministra, Ana Brnabić – riconfermata da Vučić per un secondo mandato lo stesso giorno dell’annuncio relativo all’EuroPride – è apertamente lesbica, ha una relazione stabile e un figlio di tre anni partorito dalla sua compagna. Allo stesso tempo, in Serbia i matrimoni o le adozioni omosessuali non sono ancora riconosciuti dalla legge.

Lo scontro con gli attivisti

Il primo EuroPride si è tenuto a Londra trent’anni fa, nel 1992, e da quel momento si è svolto ogni anno in una diversa città europea. La selezione di Belgrado, arrivata al termine di una competizione con città come Barcellona e Dublino, è stata festeggiata dagli organizzatori: quello del 2022 dovrebbe essere il primo EuroPride in un paese che non fa parte dell’Area economica europea, e il primo a svolgersi nel sud-est del continente. «Il presidente non può cancellare un evento che non sta organizzando», dice Steve Taylor, responsabile della comunicazione per l’Associazione degli organizzatori dell’EuroPride (Epoa).

A suo dire, le motivazioni fornite da Vučić «sono soltanto scuse, rese necessarie dalla volontà di avvicinarsi alle richieste delle frange conservatrici e nazionaliste della società». Ad ogni modo la decisione del presidente serbo non ha colto gli organizzatori di sorpresa «Fin da quando Belgrado si è aggiudicata l’organizzazione dell’EuroPride, tre anni fa, ci aspettavamo una forte opposizione politica.

Sapevamo sarebbe successo, anche se non così a ridosso dell’evento» spiega il responsabile. Vučić ha ribadito agli organizzatori il 30 agosto che l’evento sarà cancellato, ma nonostante gli annunci la cancellazione non è definitiva; gli organizzatori vanno avanti con la preparazione dell’evento.

Diritti mancati e paradossi

L’incertezza, d’altra parte, caratterizza da anni la situazione della comunità Lgbtq+ in Serbia. Questo paese, pur candidato dal 2012 a entrare nell’Unione europea , è ancora lontano dall’accettare le minoranze e riconoscerne i diritti.

Uno studio condotto dall’Agenzia europea dei diritti fondamentali, pubblicato nel 2020, ha evidenziato come in Serbia l’87 per cento delle coppie omosessuali eviti di tenersi la mano in pubblico. Solo il 20 per cento degli intervistati ha dichiarato apertamente, nella sua cerchia sociale, di appartenere alla comunità Lgbtq+; la media europea è del 47 per cento. Una persona transessuale o intersessuale su cinque ha affermato di essere stata fisicamente o sessualmente molestata nel corso dei cinque anni precedenti il sondaggio.

Oggi la situazione sta lentamente migliorando, ma la legge serba riconosce ancora il matrimonio come l’unione tra uomo e donna, escludendo di fatto la possibilità per le coppie omosessuali di sposarsi. Anche le adozioni sono vietate.

Intanto, fin dalla sua nomina, nel 2017, la prima ministra Brnabić ha sempre dichiarato di essere lesbica. Nel 2019 dalla sua relazione con Milica Djurdjic, radiologa, è anche nato un figlio, partorito da Djurdjic tramite l’inseminazione artificiale. Secondo le leggi del paese che lei stessa governa, però, Brnabić non può sposarsi, e non può nemmeno essere riconosciuta come tutrice del bambino che pure considera a tutti gli effetti come un figlio.

Il ruolo di Ana Brnabić

Ana Brnabic, prima ministra della Serbia (Ap)

Cinque anni fa, l’arrivo di una prima ministra donna e lesbica è stata accolta con favore dai sostenitori dei diritti Lgbtq+ in Serbia, ma le loro speranze sono rimaste in larga parte disattese. Nel corso del suo primo mandato, infatti, il governo non ha ottenuti risultati concreti per quanto riguarda i diritti civili delle persone non eterosessuali.

Brnabić stessa aveva contribuito a smorzare gli entusiasmi quando, partecipando al Pride di Belgrado del 2019, ha dichiarato: «Non sono la prima ministra della comunità omosessuale. Sono una prima ministra, e poi sono anche omosessuale. Devo occuparmi dei diritti di tutti i cittadini serbi». Il paese sembra fare un passo avanti e due indietro.

Da due anni il governo sta lavorando a una legge che regolamenti le unioni tra persone dello stesso sesso, senza ottenere grandi risultati soprattutto a causa della mancanza di volontà politica. Il presidente Vučić, infatti, ha già annunciato che non intende ratificare alcuna legge sul tema e, anche se questa dovesse infine essere approvata, sarà quindi rinviata all’Assemblea nazionale.

Per il giornalista serbo Adam Santovac, negli ultimi anni il presidente Vučić «ha sfruttato l’orientamento sessuale della premier Brnabić per presentarsi in modo migliore al mondo occidentale», guardando all’Ue e agli Usa, «mentre tentava comunque di avvicinarsi alla Russia e ai cittadini più conservatori». L’ennesima conferma di un atteggiamento contraddittorio.

Data la scarsa importanza attribuita negli ultimi anni da Vučić e Brnabić al tema dei diritti, «l’EuroPride di Belgrado era un’opportunità per andare avanti, ed è deludente che non sia stata colta», dice Taylor.

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