A seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin, i sostenitori dell’ambiente hanno offerto una soluzione al conflitto e alla dipendenza energetica: abbandonare i combustibili fossili. «Sappiamo qual è la via d’uscita da questa crisi: potenziare le infrastrutture delle energie rinnovabili, alimentare le case con l’energia eolica e solare, elettrificare i nostri sistemi di trasporto», ha scritto Naomi Klein, corrispondente di The Intercept. «Le atrocità della Russia in Ucraina dovrebbero ricordarci che l’influenza corruttrice che portano petrolio e gas sono alla radice virtualmente di ogni forza che destabilizza il nostro pianeta». «Il modo per non dipendere dal petrolio straniero è di non utilizzarlo», ha detto il rappresentante democratico dell’Illinois Sean Casten.

«Dopo che Hitler ha invaso i Sudeti, l’America ha convertito la sua produzione industriale, costruendo carri armati, cacciabombardieri e torpediniere», ha scritto Bill Mc Kibben. «Ora dobbiamo rispondere con le rinnovabili».

Questi argomenti hanno una loro validità. L’uso prolungato dei combustibili fossili ha lasciato i paesi democratici esposti a pericolose relazioni con stati autoritari come l’Arabia Saudita e la Russia. Petrolio e gas naturale sono le due principali esportazioni della Russia, seguite da altre materie prime derivate dall’energia fossile come i bricchetti di carbone, i fertilizzanti azotati e la ghisa. La dipendenza dai combustibili fossili russi dà un’urgenza nuova all’appello alla transizione verso fonti a basse emissioni di carbonio.

Promuovere energia pulita non è però una risposta sufficiente all’attacco della Russia all’Ucraina ed è soltanto una soluzione parziale alle più ampie preoccupazioni geopolitiche e di sicurezza energetica. Anche in un futuro profondamente decarbonizzato è improbabile che la dipendenza dalle importazioni di energia, la disparità delle risorse e i capricci di leader autoritari svaniscano con i combustibili fossili.

Nuove insicurezze

I sostenitori del clima non affermano certamente che la decarbonizzazione eliminerà tutti i mali del mondo, o che la transizione dai combustibili fossili potrà avvenire dal giorno alla notte. Ma vale la pena chiedersi se anche un cambiamento rivoluzionario nelle tecnologie energetiche utilizzate dalle società umane cambierà davvero la natura del conflitto internazionale o le controversie nelle relazioni fra paesi.

Dobbiamo considerare la possibilità che un mondo alimentato a energia pulita potrebbe solo marginalmente essere meno colpito dalle guerre.

Anche nel caso in cui i governi globali rispettino gli impegni climatici presentati alla conferenza sul clima di Glasgow alla fine dell’anno scorso, non cambia il fatto che molti paesi, in particolare le economie in crescita come Cina, India e Nigeria, ma anche paesi ricchi come Giappone e Corea del Sud, continueranno a utilizzare combustibili fossili per decenni, soprattutto nei settori più difficili da decarbonizzare come i trasporti o l’industria pesante.

Pur con una diminuzione della domanda di combustibili fossili, gli stati che si basano sul petrolio continueranno ad accumulare ricchezza e a esercitare il loro potere grazie al controllo che esercitano sui mercati fossili rimanenti. I petrostati possono finanziare grandi eserciti e agire in modo aggressivo perché controllano un prezioso prodotto minerario che è ancora relativamente richiesto a livello globale. Dinamiche simili continueranno sia in un’economia globale a zero emissioni, sia durante il lungo percorso verso tale futuro.

E una volta che sostituiremo le tecnologie a combustibili fossili in tutto il mondo, è probabile che ci troveremo a dover affrontare nuove e diverse insicurezze legate alle risorse e squilibri di potere geopolitico. La portata e la velocità della transizione verso l’energia pulita e le esigenze minerarie uniche di tecnologie come gli azionamenti delle turbine eoliche, le batterie dei veicoli elettrici e gli elettrolizzatori a idrogeno stanno semplicemente cambiando i minerali importanti per i sistemi energetici e per la moderna società industriale.

Stiamo già assistendo a tensioni e conflitti sugli elementi fondamentali per la costruzione di un’economia a basse emissioni. In Myanmar, che ospita una frazione significativa dei giacimenti mondiali di minerali di terre rare estratti attivamente, il commercio di metalli potrebbe sostenere la violenta guerra della giunta militare contro le milizie ribelli dell’opposizione. Il brutale conflitto civile nella Repubblica democratica del Congo è stato esacerbato dal contrabbando da parte del gruppo ribelle M23 di minerali preziosi come rame, diamanti e oro. E la Cina, il principale fornitore mondiale di metalli delle terre rare lavorati utilizzati nei veicoli elettrici e nelle turbine eoliche, in passato ha bloccato le esportazioni di questo prezioso prodotto per esercitare pressioni politiche sul vicino Giappone.

Tensioni “estrattive”

La Cina domina anche il mercato globale dei pannelli solari, con molte catene di produzione situate nello Xinjiang e legate a programmi di lavoro forzato che costringono i musulmani uiguri a lavorare abusivamente nelle fabbriche. Un’accurata ricerca investigativa ha scoperto che il lavoro forzato uiguro è alla base di numerose catene di approvvigionamento cinesi, non solo nello Xinjiang ma in tutta la Cina, dove i lavoratori sono sottoposti a trattamenti discriminatori, condizioni di lavoro pericolose e indottrinamento in settori che vanno dalla produzione di batterie ai minerali e ai prodotti farmaceutici.

Pertanto, dal polisilicio della Cina, al litio dell’Argentina, al nichel della Russia, al cobalto della Repubblica Democratica del Congo, il nostro futuro a energia pulita sarà caratterizzato da molto “estrattivismo” e dai rischi associati di tensione locale, regionale e internazionale.

Un atteggiamento più completo verso la futura sicurezza energetica prende sul serio questi fatti. I politici dovrebbero assolutamente accelerare l’innovazione e la diffusione di alternative energetiche a basse emissioni di carbonio. Ma dovrebbero farlo in modo da massimizzare la diversità dell’offerta di risorse e allinearsi a solidi standard lavorativi, ambientali e dei diritti umani.

Nel breve periodo questo significa sostituire la produzione russa di petrolio e gas con una produzione in Europa, Africa, Stati Uniti e altrove. A lungo termine significherà costruire catene di approvvigionamento più distribuite a livello globale per i metalli, minerali e combustibili che guideranno un’economia energetica a basse emissioni di carbonio.

Proteggere la transizione verso l’energia pulita da shock imprevisti può comportare anche la diversificazione dell’insieme delle tecnologie che producono energia utile. La scelta di costruire un sistema energetico utilizzando solo energia solare, eolica e a idrogeno introduce più vulnerabilità a interruzioni impreviste rispetto a un sistema energetico che include solare, eolico, nucleare, geotermico, idrogeno, ammoniaca, idroelettrico, termovalorizzazione e altro ancora.

L’innovazione tecnologica è fondamentale per tutti questi obiettivi, dall’espansione più rapida delle catene di approvvigionamento di energia pulita alla riduzione del fabbisogno materiale della nostra economia a basse emissioni di carbonio. Dovremmo tuttavia evitare di lasciarci andare in speranze illusorie su come sarebbe un pianeta a energia pulita. Un futuro in cui saremo passati da carbone, petrolio e gas naturale a silicio, litio e uranio potrebbe davvero essere un mondo più sicuro.

Richiederà però una pianificazione strategica e una vigilanza continua per evitare un conflitto internazionale, non un determinismo utopico dell’energia pulita.

Questo articolo è apparso sulla testata online Persuasion. Traduzione di Monica Fava.

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