«Il comitato norvegese per il Nobel ha deciso di assegnare il premio Nobel per la pace 2021 a Maria Ressa e Dmitry Muratov per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, che è precondizione per la democrazia e per una pace duratura». Con queste parole l’8 ottobre 2021 una portavoce del comitato per il Nobel aveva annunciato la vittoria dei due giornalisti e sancito, per loro, l’inizio di un anno che avrebbe dovuto premiare le cause per le quali combattevano. Niente di tutto ciò è avvenuto, né per Muratov né per Ressa, che si sono dovuti battere per far sopravvivere le testate per cui scrivevano o che avevano fondato. 

Muratov: il nemico di Putin

È il 24 febbraio 2022, sono trascorsi 226 giorni dalla proclamazione di Muratov Nobel per la pace, quando la Russia invade l’Ucraina. Lui, direttore di uno dei pochi giornali russi rimasti indipendenti, Novaja Gazeta, fa quello per cui ha ricevuto il premio. Tenta di contrastare il potere e la narrazione falsa di Putin che chiama quella guerra «operazione speciale».

Così il giorno dopo, il 25 febbraio, pubblica un editoriale in doppia lingua – in russo sulla pagina di sinistra, in ucraino su quella di destra – e attacca il presidente russo Vladimir Putin.  «La guerra è un crimine. L’Ucraina non è un nemico. La Russia pagherà il prezzo più pesante per la scelta di Putin», scrive.

Prova anche a fare appello alla solidarietà del suo popolo verso quello ucraino, legati da un rapporto di “fratellanza”. E ricorda che mentre le prime bombe cadevano su suolo ucraino «c’erano persone particolarmente cupe sulla metropolitana di Mosca che andavano al lavoro. Non c’era giubilo per la guerra». 

La legge sulla propaganda

A una settimana di distanza da quell’editoriale il sito di Novaja Gazeta è stato costretto a rimuovere gran parte dei resoconti di guerra. La nuova legge varata da Putin sulla propaganda minacciava chiunque avesse diffuso informazioni in contrasto con la propaganda statale a una detenzione fino a 15 anni.

Ciò includeva anche notizie riguardanti perdite russe sul campo ed ha costretto altri media russi a chiudere o bloccare i propri siti web e molti giornalisti a lasciare il paese. Muratov ha, però, tentato di resistere aumentando le copie vendute e le uscite settimanali.

Tuttavia, a poco più di un mese di distanza dallo scoppio della guerra, il 28 marzo, il giornale ha annunciato che avrebbe sospeso la pubblicazione per tutta la durata della guerra. Un team di suoi giornalisti ha avviato un nuovo progetto dall'estero e chiamato la testata Novaya Gazeta Europe.

La storia di Novaja Gazeta

La fondazione di Novaja Gazeta risale al 1993 e da allora il giornale è sempre stato diretto da Muratov.  Le inchieste sugli abusi in Cecenia e sulla corruzione all’interno del Cremlino hanno fruttato negli anni numerosi nemici alla testata e alla redazione, tanto che sei giornalisti sono stati uccisi.

Tra i più noti si ricorda il vicedirettore di Novaja Gazeta, Yuri Shchekochikhin, morto a causa di una reazione allergica acuta mentre stava indagando su un caso di corruzione che vedeva coinvolti i Servizi di sicurezza federale e l’Ufficio del procuratore generale.

Ma anche Anna Politkovskaya che aveva denunciato le violazioni dei diritti umani in Cecenia da parte del Cremlino. A settembre 2021, un tribunale ha accolto la richiesta dell'autorità di regolamentazione dei media di revocare la licenza di pubblicazione del giornale.

Muratov è dunque ricorso in appello sostenendo che data la cessazione delle pubblicazioni sulla guerra non c’era la necessità di chiudere il giornale. Tuttavia, ha sostenuto il giornalista premio Nobel, l’intenzione del tribunale era eliminare il problema dalla radice.

Il premio Nobel per i rifugiati ucraini

A giugno Dmitry Muratov ha venduto all’asta il suo premio Nobel per la pace. Ne ha ricavato 103,5 milioni di dollari, sbaragliando tutti i precedenti record toccato per la vendita di questi premi. Il denaro ricevuto dalla vendita insieme a quello ricevuto in corone svedesi al momento della proclamazione sono stati devoluti in beneficenza per aiutare i bambini ucraini rifugiati. 

Maria Ressa e i problemi con Duterte

I rapporti della testata Rappler, di cui Maria Ressa era co-fondatrice, con l’ex presidente filippino Rodrigo Duterte, sono sempre stati tesi. Ressa ha nel corso degli anni più volte denunciato con i suoi scritti le brutali repressioni del governo contro le droghe. Denunce supportate da prove così forti che hanno spinto anche la Corte Penale internazionale ad agire per possibili crimini contro l’umanità.

Inoltre, più volte il governo ha intentato a Ressa delle cause legali che hanno costituito un pericolo per la sopravvivenza di Rappler e una minaccia per la giornalista di finire in carcere.

Due giorni prima della fine del governo Duterte l’autorità di regolamentazione ha deciso di revocare al sito d’informazione la licenza operativa, sostenendo che la testata permetteva a un possibile investitore straniero di esercitare controllo sui media contravvenendo così una norma costituzionale. 

«Per noi è normale. Ci adatteremo, ci adatteremo, sopravvivere e prosperare», aveva sostenuto la redazione di Rappler, opponendosi all’ordine di chiusura.

Il nuovo presidente sulle orme di Duterte

A una settimana dall’insediamento del nuovo presidente delle Filippine, Ferdinand marcos Junior, Maria Ressa è stata condannata insieme a un collega di Rappler a sei anni, otto mesi e venti giorni di carcere.

A muoversi contro la sentenza non sono stati solo gli avvocati di Ressa ma anche il Comitato norvegese per il Nobel, il cui presidente, Berit Reiss-Andersen, ha affermato che la vicenda «sottolinea l'importanza di un giornalismo libero, indipendente e basato sui fatti, che serve a proteggere dall'abuso di potere, dalle bugie e dalla propaganda di guerra». 

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