L’Arabia Saudita ha condannato a cinque anni di carcere l’attivista per i diritti delle donne, Loujain al-Hathloul. La donna si trova in carcere dal 2018 ed è accusata di essere «una minaccia per la sicurezza nazionale». Al-Hathloul aveva lottato per fare ottenere alle donne il diritto di guidare le macchine ed era stata arrestata poche settimane prima che la legge fosse effettivamente introdotta. La famiglia dell’attivista ha detto che la donna è stata sottoposta a elettroshock e violenze sessuali in carcere. Inoltre le autorità avrebbero offerto ad al-Hathloul di ritornare in libertà se non avesse denunciato le torture subìte. L’Arabia Saudita ha sempre respinto queste accuse.

«Mia sorella non è una terrorista»

Le Nazioni unite hanno condannato la sentenza del tribunale saudita che è stata definita «profondamente problematica». Le associazioni per i diritti umani hanno inoltre denunciato come gli standard del processo non siano stati adeguati al diritto internazionale. Lina al-Hathloul, sorella dell’attivista ha pubblicato su Twitter una foto della donna scrivendo «mia sorella è un’attivista, non una terrorista». Il riferimento di Lina è al fatto che a processare la sorella sia stato un tribunale dell’antiterrorismo. La donna ha, inoltre, ricordato come «Loujain sia stata processata perché accusata di avere portato avanti istanze che poi sono stat accolte dallo stesso governo saudita».

Il paradosso saudita

La vicenda di al-Hathloul è uno dei grandi paradossi che negli ultimi anni vede protagonista il principe ereditario, Mohammed Bin Salman, ormai considerato il leader dal paese e che ha alternato momenti di riforme a dure repressioni come quella che ha colpito l’attivista. Accanto all’introduzione di politiche meno conservatrici come il diritto per le donne di guidare le macchine e una svolta ecologista non priva di pericoli per la casata reale stessa, il principe è infatti considerato il mandante dell’omicidio del giornalista, Jamal Khashoggi ucciso nel 2018 nell’ambasciata saudita in Turchia. Questo episodio insieme ad altre azioni come la guerra in Yemen sono valse all’Arabia Saudita la fama di regime sanguinario. Una nomea che il governo ha provato a scrollarsi di dosso anche tramite il cosidetto sportwashing.

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