Una giornata convulsa a Tel Aviv in allerta nel segno di possibili rappresaglie iraniane con un premier sotto assedio che affronta le sfide provenienti da un alleato sempre più frustrato, gli Stati Uniti e da una maggioranza di unità nazionale in patria sull’orlo di una crisi. Il quadro politico è di un sostegno interno al leader israeliano che si sta erodendo mentre cresce la protesta internazionale per le morti civili a Gaza giunte a 33mila unità.

Poi in serata è giunto l’ennesimo colloquio tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente Usa, Joe Biden. La telefonata durata 45 minuti e iniziata alle 11.45 ora di Washington è giunta dopo che Biden si era detto in un comunicato apparso sul sito della Casa Bianca «indignato» e «affranto» per l'attacco israeliano agli operatori umanitari della ong Wck.

Un colloquio che ha evidenziato come il conflitto a Gaza potenzialmente rappresenti una minaccia esistenziale per entrambe le carriere politiche dei due leader dopo che il Washington Post ha riportato la notizia secondo cui l’amministrazione Biden, accusata da molti democratici di non fare pressioni sufficienti su Tel Aviv per fermare il conflitto, ha approvato, con pessima scelta di tempo, il trasferimento di altre migliaia di bombe a Israele nello stesso giorno in cui gli attacchi aerei israeliani a Gaza hanno ucciso 7 operatori umanitari del gruppo di beneficenza World central kitchen (Wck).

«La transazione dimostra la determinazione dell’amministrazione a continuare a fornire armi letali a Israele nonostante le uccisioni di alto profilo di lunedì e le crescenti richieste agli Stati Uniti di condizionare tale sostegno a una maggiore protezione dei civili nella zona di guerra», ha scritto il Washington Post, ricordando che fra i 7 morti c’è anche un cittadino statunitense. Jill Biden, la consorte del presidente, ha detto pubblicamente che sta spingendo il marito a fermare la guerra a Gaza adesso.

Gli Stati Uniti continuano a sostenere il diritto di Israele a difendersi da Hamas, ha detto John Kirby, portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca, ma deve fare di più per prevenire l'uccisione di civili innocenti e operatori umanitari. «Come esercito moderno e come democrazia, gli israeliani hanno degli obblighi nei confronti del popolo innocente di Gaza e non sempre li hanno rispettati. Siamo preoccupati anche per i metodi», ha affermato. Preoccupazioni ed inviti non nuovi ma che finora sono rimasti inascoltati.

Le pressioni di Gantz

Membro del gabinetto di guerra israeliano e principale oppositore del primo ministro Netanyahu, Benny Gantz ha chiesto che vengano indette elezioni anticipate a settembre per mantenere l'unità del governo e ritrovare la fiducia tra la popolazione. Gantz fa parte del partito di opposizione centrista Blu e Bianco, entrato a far parte del governo di unità nazionale, dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre.

«Dobbiamo fissare una data consensuale per il mese di settembre, o se preferite per il primo anniversario della guerra», ha detto durante un discorso dal suo ufficio al parlamento israeliano trasmesso in tv mercoledì.

La richiesta è stata respinta dal partito del premier, Likud, secondo cui le elezioni «porterebbero necessariamente alla paralisi» e danneggerebbero l'offensiva militare su Gaza. Il leader della maggioranza del Senato Usa, Chuck Schumer, ha invece accolto con favore la richiesta: «Quando un membro di spicco del gabinetto di guerra israeliano chiede elezioni anticipate e oltre il 70 per cento della popolazione israeliana è d'accordo secondo un importante sondaggio, sai che è la cosa giusta da fare», ha scritto su X.

In caso di elezioni anticipate, riporta il Guardian, secondo gli ultimi sondaggi, Gantz avrebbe più consenso rispetto a Netanyahu, la cui popolarità è in forte calo dal 7 ottobre.

Israele in allerta

Israele ha rinviato la smobilitazione dei soldati, ha richiamato i riservisti nella difesa aerea e, da giovedì mattina, sta distorcendo i segnali Gps. Nel paese l’allerta è alta per il rischio di un eventuale attacco dell’Iran, in risposta al raid israeliano che lunedì 1° aprile ha colpito il consolato iraniano a Damasco, uccidendo 13 persone, tra cui sette guardie rivoluzionarie iraniane tra cui un generale.

Il portavoce dell’Idf Daniel Hagari ha spiegato ai cittadini che per il momento non ci sono «nuove direttive di emergenza. Aggiorneremo immediatamente eventuali modifiche, se ci sono, in modo ufficiale e ordinato». Haaretz scrive che Teheran, "in base a tutti i segnali e gli avvisi che giungono da lì è determinata" a rispondere all'uccisione del comandante delle Guardie Rivoluzionarie.

Il quotidiano avanza alcuni scenari: «Un attacco di droni o di missili da crociera direttamente dall'Iran diretti verso infrastrutture israeliane», oppure «intensi attacchi di missili dal Libano o dalla Siria attraverso gli Hezbollah o milizie sciite» o, ancora, «attentati alle ambasciate israeliane all'estero», in particolare secondo altri analisti in Europa o America latina.

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