Nella tarda serata di sabato scorso nel villaggio Bolshie Vyazemy, a pochi chilometri da Mosca, si è verificata un’esplosione, dovuta ad un ordigno nascosto nella macchina che guidava Dar’ja Dugina, figlia del noto filosofo Aleksandr Dugin. Entrambi avevano partecipato al festival “Tradizione”, ma, all’ultimo momento, il filosofo russo è salito su un’altra auto, secondo quanto è stato dichiarato dall’attivista Piotr Lundstrem.

Immediate le reazioni del Cremlino dove la portavoce del ministero degli esteri, Maria Zacharova, ha affermato che, se le indagini confermeranno il coinvolgimento dell’Ucraina sulla morte di Dugina, allora si potrà dire che «Kiev pratica la politica del terrorismo di Stato». Un’ipotesi fortemente smentita dal consigliere del presidente ucraino Mykhailo Podolyak: «Non siamo uno stato criminale, a differenza della Russia, e sicuramente non uno stato terrorista. L'Ucraina non ha nulla a che fare con l'omicidio della figlia di Dugin».

Ma chi era l’obiettivo di questo attentato? Il padre, la figlia o entrambi? Lo scambio della macchina, avvenuto all’ultimo minuto lascia presupporre che il vero obiettivo fosse il filosofo Dugin, impropriamente definito in Occidente come il fondatore del “nazionalismo russo”, “l’ideologo/la mente di Putin”.

Chi conosce veramente il pensiero politico e filosofico della Russia, sa che il presidente Vladimir Putin ha ben altri riferimenti che spesso cita nei suoi discorsi: il pensatore Ivan Il’in, il filosofo Nikolaj Berdjaev e l’etnologo Lev Gumilëv, (come è ben descritto nel libro L’idea russa di Bengt Jangfeldt).

Il pensiero di Dugin

Il pensiero politico di Dugin si fonda essenzialmente sulle teorie di Alain de Benoist, di Robert Steuckers e Jean Thiriart e dei rapporti intercorsi con lo scrittore dalle posizioni nazionaliste ed estremiste, Aleksandr Prochanov, e con Julius Evola, un filosofo italiano vicino al fascismo che professava il tradizionalismo integrale.

L’orientamento politico di Dugin risente, quindi, di queste contaminazioni che si traducono in un nazional-boscevismo di matrice rosso-bruna che ha alcuni punti di contatto con il partito liberal-democratico del nazionalista Vladimir Zhirinovskyj e con la corrente del movimento eurasista. E proprio l’affermazione del presidente Putin sul fatto che «la Russia si è sempre sentita un paese euroasiatico», costituisce per Dugin un motivo di orgoglio, «un riconoscimento epocale, grandioso, rivoluzionario» che consente al filosofo russo di “frequentare” ambienti politici vicini al Cremlino e l’oligarca Konstantin Malofeev, un ultranazionalista, monarchico e ortodosso.

Come ha scritto un giornalista russo «queste sono idee che rispondono ai bisogni psicologici della società: un’alternativa alla storia d’amore finita male con l’Occidente».

Tuttavia, il progetto di integrazione euroasiatica della Russia, che accomuna Dugin e Putin, è declinato in maniera diversa: ultrareazionaria e radicale per Dugin, patriottica e pragmatica per Putin. Inoltre, Dugin che è stato co-fondatore con Eduard Limonov del Partito Nazional-Boscevico, sciolto dalle autorità russe, è stato cacciato da numerose università russe ed è piuttosto emarginato dai mass media.

Non è l’ideologo di Putin

Non solo non esistono foto che lo ritraggono insieme a Putin, ma se fosse veramente l’ideologo del Cremlino, Dugin avrebbe potuto usufruire della scorta del servizio FSB e si potrebbe affermare che l’attentato ha un alto valore simbolico perché è stato ucciso “un uomo di Putin”.

Diverso è il discorso sui rapporti intercorsi tra Dugin e i partiti europei di estrema destra; in particolare, già dalla fine degli anni Ottanta con gli ambienti culturali dell’estrema destra italiana vicini alla rivista Orion. Come spiega lo storico Giovanni Savino in From Evola to Dugin, i rapporti di Dugin con esponenti dei partiti di Forza nuova, Casa Pound e Lega sono sempre stati assidui: dall’intervista di Dugin al leader Salvini ai contatti con Gianluca Savoini dell’associazione Lombardia-Russia. Recentemente, Dugin ha anche apprezzato l’attività politica di Giorgia Meloni, affermando: «Ho un presentimento, si farà strada».

Non si esclude che questo attentato fosse rivolto anche alla figlia Dar’ja che lavorava per Russia Today e si è sempre espressa in difesa dei separatisti del Donbas e a favore dell’invasione russa in Ucraina. Certamente, questa notizia non costituisce una storia a sé, ma è legata alle dinamiche russo-ucraine di questi mesi, come le rispettive reazioni propagandistiche stanno dimostrando.

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