Dalla fine del mandato presidenziale di Michel Aoun nell’ottobre 2022, il parlamento libanese non è riuscito  – dopo più di 10 sessioni – ad eleggere il suo successore, per il quale si deve raggiungere la maggioranza dei due terzi dei 128 membri eletti.

Anche se esiste la possibilità di un secondo turno con maggioranza semplice, fino ad ora i partiti hanno inseguito quella qualificata per ottenere un consenso più largo. Com’è noto la costituzione libanese prevede che il presidente sia un cristiano maronita.

Durante una delle ultime sessioni di voto Suleiman Franjieh, leader del Movimento Marada (alleato di Hezbollah e del presidente siriano Bashar Al-Assad) ha ottenuto 1 voto ed è stata la prima volta che il suo nome è stato fatto in aula.

Il primo ministro Najib Mikati ha subito appoggiato Franjieh. Contro tale ipotesi Michel Moawad, figura anti-Hezbollah, ha preso 43 voti ma si considera impossibile una sua elezione in assenza del consenso del partito sciita. Dietro le quinte è emerso il nome del comandante dell’esercito, generale Joseph Aoun (nessuna parentela con l’uscente), come candidato di compromesso.

Sul militare ha già dichiarato il suo favore il leader del partito delle forze libanesi Samir Geagea e pare che anche Francia e Stati Uniti siano aperti a tale ipotesi. Si attende ancora la posizione saudita in proposito. La scelta di un militare in carica richiede tuttavia un emendamento costituzionale, dal momento che la carta libanese non consente ad un candidato presidenziale di essere anche un ufficiale operativo. Il Movimento patriottico libero (il partito dell’ex presidente Michel Aoun) si oppone per ora a tale eventualità.

Infine tra gli altri circola anche il nome di Ziad Baroud, figura indipendente, avvocato ed ex ministro dell’interno.

Pressioni internazionali

La comunità internazionale preme sulla politica libanese perché lo stallo sia superato, visto anche che il premier Mikati è lui stesso a capo di un governo provvisorio. Tuttavia i partiti non hanno fretta: non è la prima volta che si crea un vuoto di potere.

Lo stesso Michel Aoun fu eletto dopo oltre due anni di impasse. Malgrado la grave crisi economico-finanziaria che scuote il paese e le ripetute accuse di corruzione e di immobilismo a lei rivolte, la classe politica libanese non si scompone: solo loro conoscono gli arcani dei complessi equilibri di un paese diviso in gruppi etno-religiosi guidati da famiglie inamovibili.

L’unico cambiamento degli ultimi decenni è stata l’emersione degli sciiti di Hezbollah, un vero partito armato sostenuto da Teheran, rappresentante degli sciiti che sono ormai la maggioranza relativa. Fino a quel momento questi ultimi erano stati considerati dei paria dalle altre denominazioni cristiane, druse e musulmane sunnite.

La forza di Hezbollah, divenuto assolutamente incontournable nelle scelte politiche nazionali, è di possedere un esercito parallelo, sia rispetto a quello ufficiale che alle milizie degli altri partiti (sorte durante la guerra civile 1975-1990 ma ormai molto indebolite). Soprattutto la milizia sciita è riuscita a tenere testa a Tsahal, l’esercito israeliano, nel Libano sud.

Di conseguenza oggi il paese dei cedri è ostaggio di un peculiare bilanciamento tra lo strapotere sciita da un lato, e i pesi e contrappesi degli altri gruppi, infragiliti ma che non vogliono mollare dall’altro. A dimostrazione di tale situazione va detto che sui 128 deputati eletti, soltanto 13 sono i cosiddetti indipendenti, liberi da ogni condizionamento politico-religioso. Quali sono i profili degli attuali possibili candidati alla presidenza emersi fino ad ora? Suleiman Frangieh è il candidato appoggiato da Hezbollah.

A 56 anni, Frangieh è stato deputato ed è il leader del partito politico cristiano filo-siriano Marada. Proviene da una dinastia politica cristiana del nord del Libano. Suo nonno è stato presidente dal 1970 al 1976. Amico personale del presidente siriano, Fragieh ha trascorso gli anni della guerra civile libanese a Damasco dopo che suo padre, sua madre e sua sorella furono assassinati nel 1978.

Frangieh gode anche del sostegno del partito Amal del presidente della Camera Nabih Berri, stretto alleato di Hezbollah. Per ora gli manca il sostegno dei principali partiti cristiani (Forze libanesi, il Movimento patriottico libero e i falangisti). Se Frangieh è la prima scelta degli Hezbollah, potrebbe non essere quella definitiva. Ecco perché si sta cercando un candidato di compromesso.

L’interesse di Hezbollah è mantenere abbastanza controllo perché il paese continui a far parte del cosiddetto “arco sciita”: Iran, Siria e appunto Beirut. Per questo serve al partito sciita un presidente che gli consenta di mantenere il possesso delle proprie armi e basi, in particolare a sud.

Joseph Aoun

Il presidente uscente Michel Aoun (Dalati Nohra via AP)

Un altro possibile candidato è il generale Joseph Aoun, attuale comandante delle forze armate. A differenza di Frangieh, costui gode del sostegno degli Stati Uniti e della Francia anche se Washington e Parigi hanno evitato di sostenerlo pubblicamente.

L’esercito è visto come un pilastro della stabilità nel mezzo della peggiore crisi della storia libanese anche se si stanno moltiplicando le defezioni a causa delle paghe troppo basse. La lira libanese è ormai erosa dall’iperinflazione e anche soldati e ufficiali vanno a cercarsi lavoro altrove nel privato per sopravvivere.

Un altro nome possibile è quello di Gebran Bassil, che guida il Movimento patriottico libero ed è genero dell'ex presidente Michel Aoun.

Anche Bassil è vicino a Hezbollah ma non ha ancora annunciato ufficialmente la sua candidatura. A 52 anni si tratta di una figura controversa e nel 2020 è stato sanzionato dal governo degli Stati Uniti per violazioni dei diritti umani e corruzione. C’è poi Michel Moawad, attualmente deputato, che ha dichiarato la sua candidatura l'anno scorso.

Figlio dell’ex presidente Rene Moawad, assassinato nel 1989 appena 17 giorni dalla sua entrata in carica, gode del sostegno di ambienti degli Stati Uniti ma Hezbollah gli si oppone categoricamente. Oltre a costoro potrebbe emergere l’ex ministro dell'Interno Ziad Baroud, un indipendente, che ha il sostegno dei media libanesi e di parte della società civile, anche se non ha ancora abbastanza appoggi dentro l’establishment politico.

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