Le notizie che arrivano dal Mediterraneo e dalla Libia sono sempre più preoccupanti, eppure il rapporto dell’Italia con Tripoli e con la sua Guardia costiera continua a restare immutato. Respingimenti, abusi, uso della forza, violazioni costanti dei diritti umani sono alla base dell’operato dei militari che pattugliano le coste libiche, come denunciato in più occasioni da diverse ong internazionali. Eppure la Guardia costiera libica continua ad essere addestrata ed equipaggiata dai governi italiani, incuranti del rischio che a capo del paese possa esserci presto un nuovo rais.

Alla base della relazione tra Roma e Tripoli vi è da una parte il bisogno del nostro paese, così come dell’Europa, di arginare i flussi migratori provenienti dall’Africa, dall’altra il desiderio di contare ancora qualcosa nell’ex colonia nonostante i mutati scenari geopolitici.

Con la caduta di Muammar Gheddafi, l’Italia ha visto diminuire la sua influenza in Libia e ha dovuto fare i conti con l’entrata in scena della Turchia a sostegno del governo di unità nazionale di Tripoli.

Proprio la presenza turca nel paese nordafricano rappresenta un grave smacco per l’Italia, soprattutto dopo che a fine 2020 si scoprì che i militari di Ankara addestravano gli operatori della Guardia costiera usando proprio le motovedette che l’Italia aveva donato in precedenza a Tripoli.

Le prime motovedette

La fornitura di unità navali alla Guardia costiera libica va avanti da prima della caduta di Gheddafi. A maggio del 2009 e a febbraio del 2010 il governo italiano, guidato dal premier Silvio Berlusconi, donò al rais sei motovedette classe Bigliani dismesse dalla Guardia di finanza, suggellando così la firma del Trattato di amicizia tra i due paesi.

L’accordo venne poi usato nel 2017 come base per il Memorandum of understanding siglato tra il primo ministro Paolo Gentiloni e il suo omonimo tripolino, Fayez al Sarraj. Anche in questo caso alla firma fece seguito una nuova fornitura di navi: il governo italiano riconsegnò a Tripoli quattro delle sei motovedette già donate alla Libia nel 2009-2010, ossia la Sabratha 654, la Zawia 656, la Zuwarah 644 e la Ras al Jadar 648.

Le due mancanti andarono distrutte durante la guerra. Sempre nel 2017 il governo italiano si impegnò a fornire alla Libia altre sei motovedette, oltre ad addestrare nella Scuola nautica della Guardia di finanza di Gaeta il personale libico.

Un’ulteriore fornitura di unità navali è stata poi approvata dal Parlamento nel 2018 nell’ambito del rifinanziamento delle missioni militari all’estero, tra le quali figura anche il dossier libico. Tra i compiti della “Missione bilaterale di assistenza e supporto alla Libia” rientra infatti anche l’addestramento e il ripristino dei mezzi della Guardia costiera nordafricana.

Nello specifico, il decreto del 2018 prevedeva la cessione al governo di Tripoli di 12 unità navali per incrementare la capacità operativa della Guardia costiera, che dipende dal ministero della Difesa, e degli organi per la sicurezza costiera del ministero dell’Interno nelle attività di contrasto dell’immigrazione illegale e della tratta di esseri umani.

A fine 2018, l’Italia ha così consegnato a Tripoli dieci motovedette classe 500 e due unità navali da 27 metri, impegnandosi anche ad addestrare sempre a Gaeta due equipaggi. Di queste motovedette, e in particolare della Ubari 660, si è tornato a parlare a maggio del 2021 quando la Guardia costiera libica aprì il fuoco contro alcuni pescherecci italiani ferendo uno dei comandanti.

Prima di questo episodio, che non ha modificato in alcun modo i rapporti tra Roma e Tripoli, l’Italia ha più volte tenuto dei corsi di formazione per i militari libici nella Scuola di Gaeta, non ultimo quello per otto sub conclusosi a giugno 2021.

Sempre nel 2018, inoltre, la Guardia di finanza ha formato 63 operatori libici sulla base di un accordo siglato con la Spagna nell’ambito del programma europeo Sea horse mediterranean project.

Quanti soldi spendiamo

L’Italia è presente in Libia con quattro diverse missioni militari: la missione bilaterale di supporto alla Libia; il supporto alla Guardia costiera libica; la missione Onu Unsmil e quella europea per il controllo delle frontiere (Eubam). Il costo di queste operazioni, dal 2017 ad oggi, si aggira intorno ai 213,9 milioni di euro.

Roma inoltre prende parte alle operazioni marittime di Mare sicuro, alla missione europea Eunavfor Med Irini (ex Sophia) e alla Sea guardian diretta dalla Nato. La prima ha comportato uno stanziamento fino al 2020 di 429 milioni e prevede operazioni di consulenza per la Guardi costiera, la costituzione di un Centro operativo marittimo in territorio libico per la sorveglianza, la cooperazione e il coordinamento delle attività congiunte, nonché il ripristino degli assetti terrestri, navali e aerei.

Guardando poi al solo addestramento e sostegno della Guardia costiera, si nota un graduale aumento dei fondi destinati a questo dossier: se nel 2017 si parlava di 3,6 milioni, nel 2021 ne sono stati stanziati ben 10,5.

Sapere come questi soldi sono stati spesi nello specifico e valutarne l’impatto a livello di diritti umani non è però possibile. Come denunciato da diverse ong, i dati relativi ai fondi spesi in Libia sono secretati e il loro accesso è precluso al parlamento così come alla società civile.

Difficile è anche avere un’idea chiara dei soldi destinati alla manutenzione dei mezzi e all’addestramento della guardia costiera. Secondo l’Arci è possibile effettuare solo una ricostruzione parziale grazie alle informazioni presenti sul sito della Guardia di finanza e nei dossier sottoposti ogni anno al voto delle Camere per il rinnovo delle missioni internazionali.

L’associazione ha messo insieme i bandi riferiti alle motovedette Sabratha 654, Zawia 656, Zuwara 644 e Ras Al Jadar 648, il cui valore ammonta a circa 400mila euro, e altri documenti in cui si fa riferimento a generici servizi di manutenzione per un valore di 2 milioni di euro per il 2020 e di 900mila per il 2021-2022.

I fondi europei

L’Italia è presente in Libia anche attraverso alcune missioni europee, come la Eubam ed Eunavfor Med Sophia, entrambe nate per supportare la Guardia costiera e la marina militare libica.

Quest’ultima operazione nel 2021 si è trasformata in Irini, mantenendo solo i compiti di addestramento ed affidando invece pattugliamento, ricerca e soccorso ai militari libici. Nel 2013 si è poi aggiunto anche il progetto Sea horse a guida spagnola dal valore di 7,1 milioni di euro, a cui l’Italia partecipa con le operazioni di addestramento dirette dalla Guardia di finanza.

Ma il sostegno europeo non si ferma qui. Dal 2015 l’Italia attinge anche dal Fondo fiduciario per l’Africa (Eutfa), nato per contrastare le cause della migrazione irregolare nel continente e dal valore di oltre 4 miliardi di euro, a cui il nostro paese ha contribuito per 123 mila euro.

A provvedere alla formazione e supporto delle autorità costiere libiche è anche il programma Support to integrated border and migration management in Libya (Ibm), partito a luglio 2017. La Fase 1 del progetto, di più vasta portata, è finanziata per un totale di 42 milioni fino al 31 dicembre 2023 e il suo principale partner attuatore è il ministero dell’Interno italiano. Il programma prevede inoltre la consegna di 20 battelli di nuova costruzione per la Guardia costiera libica, per un appalto di 9,3 milioni di euro.

Le elezioni

Il parlamento italiano ha rinnovato nel 2021 le missioni militari in Libia, ma le imminenti elezioni, fissate per il 24 dicembre, dovrebbero far riflettere sulla posizione che il nostro paese intende assumere nei confronti di Tripoli.

Tra i quasi cento candidati alla presidenza libica vi sono personaggi autoritari come il generale Khalifa Haftar e Saif Gheddafi, da cui è difficile potersi aspettare un serio rispetto dei diritti umani. La Guardia costiera libica, addestrata e finanziata dall’Italia, si è già macchiata di svariati crimini e il futuro non si prospetta di certo migliore.

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