L’Iran minaccia di attaccare i siti nucleari israeliani in caso di «aggressione» da parte di Israele. «Teheran riconsidererà la sua politica nucleare se Israele minaccerà gli impianti nucleari iraniani». È quanto ha affermato il corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica. Ma c’è di più. I funzionari israeliani avrebbero mal calcolato la gravità della risposta iraniana all’attacco del 1° aprile al consolato di Teheran a Damasco – scrive il New York Times – in cui sono rimasti uccisi diversi comandanti dei Pasdaran.

«Gli israeliani hanno fatto male i calcoli, pensando che l’Iran non avrebbe reagito con forza», si legge nel documento. Il giornale afferma che i funzionari Usa si sono arrabbiati per essere stati informati solo pochi minuti prima dell’attacco a Damasco, mentre fonti israeliane hanno dichiarato al Nyt che i piani sono iniziati due mesi prima. Secondo il rapporto, l’intelligence israeliana si aspettava che l’Iran lanciasse un massimo di 10 missili, e non più di 300, contro Israele. Un grave errore di valutazione.

Intanto il Qatar sta “rivalutando” la sua mediazione tra Israele e Hamas a causa di critiche espresse da parte di alcuni esponenti americani del Congresso. Lo ha annunciato il primo ministro del paese del Golfo, che finora ha svolto con l’Egitto un ruolo di primo piano nei negoziati per una tregua nella Striscia di Gaza.

Gli Usa e il Regno Unito hanno annunciato nuove sanzioni contro l’Iran per colpire la produzione di droni. «Siamo impegnati nella difesa di Israele. E non esiteremo a intraprendere tutte le azioni necessarie» contro gli attacchi di Teheran, ha dichiarato il presidente americano. Nell’ambito delle nuove sanzioni Usa all’Iran annunciate da Joe Biden, il Tesoro Usa ha preso di mira 16 individui e due entità che consentono la produzione di droni iraniani, compresi i tipi di motori che alimentano le varianti Shahed, utilizzata nell’attacco del 13 aprile.

«Questa è un’opportunità di formare un fronte globale e una coalizione regionale contro l’Iran, insieme con Usa, Ue e stati arabi moderati, per fermare la testa del serpente che minaccia la stabilità globale», ha commentato il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Israel Katz.

Gli Usa giocano anche la carta del veto per bloccare la richiesta palestinese di diventare membro a pieno titolo dell’Onu. Nella tarda serata di giovedì 18 aprile il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite composto da 15 membri ha votato sulla richiesta palestinese di diventare membro a pieno titolo delle Nazioni unite, ma alla vigilia del voto gli Stati Uniti hanno annunciato che avrebbero usato il veto perché la decisione avrebbe riconosciuto di fatto uno Stato palestinese, ipotesi dei due stati sostenuta teoricamente dal presidente americano, Joe Biden ma non dal premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Gli Stati Uniti hanno affermato che la creazione di uno stato palestinese indipendente dovrebbe avvenire attraverso negoziati diretti tra Israele e palestinesi, e non all’Onu. Alla vigilia del voto la Cina aveva fatto sapere di sostenere la Palestina «perché diventi membro a pieno titolo delle Nazioni unite». 

L’ambasciatore russo Nabezia ha sottolineato come ogni tentativo di fermare l’azione di Israele a Gaza sia stato bloccato in passato dal veto americano.

L’ambasciatrice britannica Woodward ha condannato il raid iraniano, ma ha chiesto la fine dell’espansione dei coloni in Cisgiordania.

Secondo la stampa israeliana, gli Stati Uniti avrebbero deciso di permettere un attacco di Israele su Rafah in cambio di un impegno del governo di Netanyahu a non rispondere su larga scala all’Iran, producendo un allargamento del conflitto in Medio Oriente. Le indiscrezioni sono state smentite categoricamente da funzionari americani ad Axios, secondo cui l’amministrazione Biden è ancora preoccupata che un’invasione israeliana di Rafah, nel sud di Gaza, possa portare a un grande numero di vittime civili.

Infine va segnalato che almeno 10 membri della famiglia Ayyad, tra cui cinque bambini di età compresa tra i tre e i 16 anni, sono stati uccisi in un attacco aereo notturno israeliano su un quartiere di Rafah, nel sud di Gaza, segno che le richieste americane di preservare le vite dei civili non sono prese in molta considerazione.

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