Mark Bowden nel suo libro Teheran 1979, fa un mirabile resoconto sulla cattura di 66 ostaggi americani dopo che degli studenti radicali riescono, prendendo di sorpresa la Cia, il 4 novembre 1979 a penetrare nell’ambasciata americana a Teheran e a tenere prigionieri membri del corpo diplomatico e i marine di guardia per 444 giorni. Lo scià, il miglior alleato degli Usa nella regione, è appena fuggito con la sua famiglia negli Stati Uniti e la rivoluzione ha da pochi mesi insediato l’ayatollah Khomeini alla guida della Repubblica islamica. Per mesi le tv americane seguiranno nel prime time la vicenda degli ostaggi con aspre polemiche politiche che spaccano il paese e paralizzano l’amministrazione in carica.

Il successo di questa iniziativa studentesca, presa all’insaputa dello stesso ayatollah Khomeini, e il drammatico fallimento dei tentativi militari americani della Delta Force di liberare gli ostaggi con degli elicotteri, porterà alla sconfitta del presidente Jimmy Carter e alla vittoria del candidato repubblicano, Ronald Reagan, che riuscirà a trovare una intesa e a liberare gli ostaggi. Questo evento drammatico, mai del tutto dimenticato e che ha rotto le relazioni diplomatiche tra i due paesi è la cesura che ha segnato un prima e dopo nei rapporti tra Usa e Repubblica islamica dell’Iran. Per capire come siamo giunti fino a questo punto non si può prescindere da quello scontro ideologico tra occidente e islam politico e da quegli studenti che facevano propria la frase di Khomeini appena tornato dall’esilio parigino che descriveva gli Stati Uniti, nelle cassette registrate e distribuite clandestinamente nei bazar di Teheran all’insaputa della Savak, la polizia segreta dello Scià, come “il grande Satana” con cui non ci si può accordare.

L’Onda verde

Poi, anticipando le primavere arabe, nel 2010 scoppia prima sui social e poi nelle piazze la protesta dell’Onda verde che scuote il regime iraniano alle fondamenta e chiede maggiori spazi di libertà nel sistema politico iraniano, un ircocervo tra parti di sistema liberale occidentale e supremazia della teocrazia sciita. Una parte importante dell’establishment vuole un avvicinamento all’occidente a cui poter vendere petrolio in cambio di prodotti di consumo, ma il regime trucca il risultato del voto elettorale delle presidenziali e dichiara che Ahmed Ahmadinejad è il vincitore ancora prima che vengono scrutinate tutte le schede. Scattano le proteste e la repressione dei Guardiani della rivoluzione uccide e arresta molti manifestanti e costringe alla fuga molti altri. I leader dell’Onda verde vengono messi agli arresti domiciliari.

L’accordo sul nucleare

Successivamente nel 2015 arriva una intesa tra il presidente americano, Barack Obama, e la guida suprema Khamenei che in cambio dello smantellamento di gran parte delle sue centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, accetta le ispezioni dei funzionari dell’Aiea, l’agenzia atomica delle Nazioni Unite con sede a Vienna, in cambio dell'allentamento delle sanzioni economiche che hanno strangolato l’economia iraniana. Sembra l’inizio di una nuova epoca, ma l’appeasement è ancora una volta illusorio e da lì a poco le cose cambiano e i falchi dei due schieramenti hanno di nuovo il sopravvento. L’ex presidente Donald Trump straccia l’accordo e vara nuove sanzioni nel 2018, nonostante le obiezioni di molti dei suoi consiglieri. Il muro dell’incomprensione tra i due paesi si alza. Bisognerà aspettare fino al febbraio 2022 perché l’amministrazione Biden proponga a Khamenei il ripristino della vecchia intesa di Obama. Ma come l’intesa originale, il nuovo accordo non limiterebbe lo sviluppo missilistico dell'Iran, non fermerebbe il sostegno di Teheran ai suoi alleati, che hanno suscitato disordini in tutto il Medio Oriente, come chiedono alcuni democratici e quasi tutti i repubblicani. Nulla è previsto su quella che vien definita l’espansione della mezzaluna sciita verso il Mediterraneo e il Mar Rosso, una ascesa che preoccupa l’Arabia Saudita e Israele. Alla fine anche l’intesa di ripristino dell’accordo sul nucleare è naufragata. Secondo molti analisti sono mancate le pressioni di Russia e Cina che hanno preferito mantenere Teheran nella loro orbita economica e politica. L’Arabia saudita invece riallaccia i rapporti diplomatici con l’Iran con la mediazione cinese, uno schiaffo a Washington.

Il dilemma di Khamenei

Il regime iraniano secondo la Reuters è di fronte a un dilemma esistenziale: stare in disparte di fronte a un’invasione israeliana di Gaza ostacolerebbe la strategia iraniana di ascesa regionale perseguita per oltre quattro decenni da Teheran. Tuttavia, qualsiasi attacco importante contro Israele, sostenuto dagli Stati Uniti, potrebbe comportare un pesante tributo all’Iran e dare più forza alle proteste di massa già in corso da mesi sul velo islamico contro la teocrazia al potere in una nazione già impantanata in una crisi economica. Per ora Teheran ha scelto di prevenire qualsiasi escalation militare che possa trascinare il paese nel conflitto tra Israele e Hamas. Guardando ai rapporti tra Repubblica islamica dell’Iran e Stati Uniti non c’è molto di cui rallegrarsi. Di certo la sequenza di appeasement illusori, movimenti di protesta non sostenuti con convinzione, accordi atomici prima firmati, poi stracciati e infine riproposti e una lunga serie di errori americani ha dato spazio e modo al regime di rafforzarsi e rinserrare i legami con Russia e Cina.
 

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