L’Occidente non deve cadere vittima della propria autoreferenzialità: anche se vince la guerra può perdere la pace. Nella missione che va compiendo a Kiev e a Mosca il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, c’è una novità anticonformista: andare controcorrente, cioè contro i soli discorsi bellicisti come se non ci fosse alternativa e ai quali anche l’Occidente sembra essersi assuefatto.

Al di là di come la si pensa, esiste un pericolo: credere che tutti la pensino come noi. Non è così: la guerra in Ucraina sta diventando insopportabile al resto del mondo. In Africa, Asia e America Latina matura una posizione equidistante che – a torto o a ragione - sta diventando maggioritaria. L’Occidente rischia di pagare un prezzo molto alto a tale «splendida solitudine». Sappiamo bene che credersi soli al mondo e i migliori fra tutti è una malattia tipica di noi occidentali.

Ci sono ottime ragioni per sostenere tale posizione: la maturità delle nostre democrazie, il rispetto dei diritti, la libertà e così via. Ma questo non basta per «stare al mondo», nemmeno se si è più ricchi e più armati: il Global South ha il suo l’orgoglio e identità. Soprattutto non accetta più lezioni. L’Occidente deve stare attento a non isolarsi. Il prossimo vertice Brics rappresenta un campanello d’allarme, così come il dibattito (di cui non si parla) in seno alle Nazioni Unite. Cresce silenziosamente un’opposizione alle decisioni occidentali: non si comprende l’ostinazione sulla guerra e il perché dell’assenza di sforzi diplomatici. Non piace che l’Onu sia messa da parte (e con essa il multilateralismo). Soprattutto irrita il doppiopesismo occidentale che contraddice ciò che ha creato o sostenuto per decenni. L’idea che le regole servano solo per “gli altri”, infastidisce il resto del mondo.

Di questo flusso di antipatia anti-occidentale Mosca si serve per coprire la propria politica imperialista, anche se è chiaro a tutti ciò a cui mira. Il Sud Globale non sceglie per la Russia ma nemmeno per l’Occidente. È soprattutto Pechino ad avvantaggiarsi di tale clima: il discorso multilateralista e anti-unipolare dei cinesi piace sempre di più perché sembra rispettoso delle identità di ciascuno. Con la globalizzazione il mondo è cresciuto ed ora molti Stati si sentono “adulti”, in grado cioè di affermare la propria individualità nel perseguire l’interesse nazionale. Gli esempi migliori sono la Turchia, l’Arabia Saudita e Israele: medie potenze che non ascoltano più l’Occidente, con cui pure erano alleate da decenni. Gli interessi non coincidono più.

Così accade anche in Africa ma soprattutto in America Latina e in Asia. L’Indonesia è addirittura riuscita a fare compiere il mese scorso manovre navali congiunte a Usa, Russia e Cina, alle quali le tre grandi potenze non si sono potute sottrarre. Il mondo è cambiato: l’Occidente non può restare rinserrato solo sulle proprie ragioni, anche se giuste. Non basta più.

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