In un faccia a faccia a margine del G20 che si è chiuso ieri a Delhi, Giorgia Meloni ha comunicato a Li Qiang la decisione del governo italiano di non rinnovare il memorandum d’intesa sulla nuova via della Seta sottoscritto nel 2019 dal Conte I. Non è ancora la notifica ufficiale alla controparte – che dovrà arrivare entro la fine dell’anno –, ma la decisione ormai è presa, annunciata dalla presidente del Consiglio al premier cinese, dopo che nei giorni scorsi il ministro degli esteri, Antonio Tajani, ne aveva discusso a Pechino con il suo omologo Wang Yi.

L’uscita dall’iniziativa nota ufficialmente come Belt and Road Initiative (Bri) dell’unico paese del G7 che vi ha aderito è stata giustificata da motivi economici e non politici, ma è vero esattamente il contrario. Firmato pochi mesi prima dello scoppio della pandemia, quel documento non avrebbe potuto produrre effetti sul commercio bilaterale.

Il memorandum è un riconoscimento politico che il governo giallo-verde accordò alla Bri, e in quanto tale viene cancellato dalla destra sovranista. «È stato un grosso errore», aveva detto Meloni in campagna elettorale. Dopo un anno di governo, il capo dell’esecutivo crede di porvi rimedio puntando in sua vece sul rafforzamento del partenariato strategico globale Roma-Pechino siglato dal Berlusconi II nel 2004, che per la leader di Fratelli d’Italia sarà il “faro” dei rapporti Italia-Cina.

Meloni ha inoltre ribadito l’adesione dell’Italia alla Partnership for Global Infrastructure and Investment (Pgii), il “corridoio economico” ideato dai paesi del G7, che a Delhi è stato ridisegnato lungo la tratta India-Medio Oriente-Europa, e che si propone come alternativa alla Bri, che però soltanto negli ultimi due anni è riuscita a mobilitare circa 150 miliardi di dollari in investimenti infrastrutturali.

Sorvegliati speciali

A Pechino sanno benissimo che quella di Meloni è una scelta di campo, per compiacere Washington. Per questo qualche giorno fa Wang ha accolto il ministro degli esteri, Antonio Tajani, ricordandogli che «di fronte alle sfide e alle interferenze geopolitiche, Cina e Italia dovrebbero andare d’accordo sulla base del rispetto e della fiducia reciproca». Wang ha risposto a Tajani – secondo cui il memorandum «non ha portato i risultati che ci aspettavamo» – sostenendo invece che quel documento «ha dato i suoi frutti all’Italia».

L’agenzia Ansa riferisce di «un’exit strategy senza polemiche, con il massimo rispetto della leadership cinese e di Xi, che a ottobre celebrerà il decennale» della Bri. Eppure i cinesi non sono contenti, e lo hanno fatto capire nuovamente ieri, con un comunicato di Xinhua, la loro agenzia ufficiale, intitolato Il premier Li esorta l’Italia a fornire un ambiente imprenditoriale equo e non discriminatorio per le imprese cinesi.

Nel breve testo non c’è alcun riferimento alla via della Seta, ma si sottintende una presunta discriminazione nei confronti di aziende cinesi, ovvero quelle – a cominciare da ChemChina che ha acquisito Pirelli nel 2015 – nei confronti delle quali, a partire dal governo Draghi, è stato esercitato il golden power per bloccarne le acquisizioni.

Pechino manda a dire che, d’ora in avanti, «la Cina continuerà ad espandere l’accesso al mercato per creare maggiori opportunità per i prodotti italiani di qualità di entrare nel mercato cinese», ma presterà maggiore attenzione all’Italia.

Senza strategia

Mentre resta in ballo la questione del viaggio a Pechino di Meloni: secondo fonti diplomatiche, la missione in oriente, inizialmente prevista per gli ultimi mesi del 2023, potrebbe slittare all'inverno 2024.

A palazzo Chigi c’è preoccupazione per possibili ritorsioni cinesi sull’export italiano in Cina, il nostro primo partner commerciale in Asia, che assorbe circa il 10 per cento dei nostri prodotti (per un quarto macchinari) destinati all’estero. Alle rappresentanze del business italiano in Cina è stato raccomandato da tempo il “silenzio assoluto” sul memorandum.

Il governo tedesco ha recentemente siglato con la Cina un memorandum in materia di cooperazione ambientale e ha varato una strategia sulla Cina frutto di mesi di dibattito interno alla coalizione “semaforo”. Emmanuel Macron ha schierato la Francia come il grande paese dell’Ue più “amico” della Cina, intensificando la cooperazione economica Parigi-Pechino e dichiarando che l’Unione europea dovrebbe tenersi fuori dalla questione taiwanese. Meloni non ha trovato di meglio che cancellare il memorandum e rispolverare un vecchio piano berlusconiano.

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