Il sito ufficiale del G20 ieri indicava ancora tra i partecipanti al summit che si chiude oggi a Delhi Xi Jinping, che alla vigilia ha clamorosamente passato l’incombenza al suo vice, il premier Li Qiang.

Cliccando sulla sulla foto del presidente cinese, si veniva indirizzati alla homepage del governo di Pechino, dove campeggiava la notizia dell’ennesima ispezione del numero uno del partito comunista, questa volta nella provincia dello Heilongjiang, dove Xi ha esortato i funzionari locali a «scrivere un nuovo capitolo per raggiungere la piena rivitalizzazione della Cina nord-orientale».

È la prima volta che Xi salta il vertice annuale del G20. Eppure, per quanto l’assenza del leader cinese che ha viaggiato più di tutti i suoi predecessori faccia rumore, è destinata a non rimanere un’eccezione.

C’è un prima e un dopo: fino alla comparsa del nuovo coronavirus, Xi è stato un globetrotter; da quando però, negli ultimi mesi del 2022, la Cina è stata riaperta, ha preferito farsi riprendere nelle aree più povere del paese piuttosto che nei grandi consessi internazionali. Xi è un leader populista, e il suo “sogno cinese”, dopo la pandemia di Covid-19, ha subìto una preoccupante frenata. Nel nuovo contesto, meglio ricevere a corte i leader stranieri (Scholz, Macron e tanti altri negli ultimi mesi).

Non Biden, che si appresta a passare alla storia come il primo inquilino della Casa bianca a non aver vistato la Repubblica popolare cinese nell’esercizio del proprio mandato.

Occasione perduta?

Xi infatti ha rinunciato a Delhi soprattutto a causa delle tensioni con gli Stati Uniti e l’India. Tra leader che avrebbero potuto essere più severi nei confronti del convitato di pietra Vladimir Putin (che Xi ha incontrato 40 volte negli ultimi dieci anni), il numero uno cinese avrebbe potuto trovarsi schiacciato tra l’ospite indiano e il rivale statunitense.

Pechino e Mosca hanno denunciato che, all’interno del G20, i membri del G7 avrebbero fatto pressione sull’India per «condizionare il comunicato finale con il loro approccio unilaterale sulla situazione in Ucraina». Ieri la dichiarazione finale ha invece fatto arrabbiare Kiev, perché è stata “troppo cauta” sul tema. Per arrivare all’accordo per un comunicato congiunto, si è scelto non fare un riferimento esplicito all’aggressione russa, ma di condannare in maniera più generica ogni limitazione alla sovranità. Si invita inoltre a trovare una «pace completa, giusta e duratura in Ucraina».

Joe Biden l’altro ieri ha intanto siglato col premier indiano, Narendra Modi, una serie di accordi in materia di difesa: su droni, semiconduttori e informatica quantistica. L’amministrazione democratica sta provando a imbarcare l’India, tradizionalmente neutrale, in una delle coalizioni che sta costruendo per contenere la Cina nell’Indo-Pacifico.

D’altra parte Pechino da un anno non ha un ambasciatore permanente a Delhi. A dividere i due giganti asiatici, oltre alle annose controversie sul confine comune, c’è appunto il rapporto con Washington. Tra Li e Modi al G20 non è previsto alcun incontro ufficiale.

Xi e Biden si sono visti l’ultima volta proprio al G20, quello del novembre 2022 a Bali. Si erano accordati per ampliare i canali di comunicazione, ma poi la controversia sul pallone spia cinese, l’escalation dell’embargo hi-tech Usa nei confronti della Cina e un’altra quasi-crisi su Taiwan hanno mandato tutto all’aria.

E, dopo il faccia a faccia mancato a Delhi, è probabile che Xi non presenzierà nemmeno al summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec) che si svolgerà a novembre a San Francisco.

Si è parlato del G20 di Delhi come di un’occasione persa da Pechino per provare ad appianare i contrasti con gli Stati Uniti e con l’occidente, dal dossier ucraino a quello taiwanese, alla guerra commerciale e tecnologica.

Ma per l’amministrazione di Xi - che utilizza la retorica e multipolare e la cooperazione con i paesi emergenti in funzione delle necessità di sviluppo della Cina - non conta più tanto il singolo vertice di un forum internazionale spaccato, e dunque incapace di decidere, come il G20, quanto il contesto globale che, secondo Pechino, è ormai segnato dal tentativo di Washington di istituire alleanze per contenere l’ascesa della Cina.

Paladini del Sud del mondo

Li ieri ha sostenuto che «il G20 ha bisogno di unità anziché di divisione, di cooperazione anziché di confronto e di inclusione anziché di esclusione». «Il problema maggiore nell’attuale situazione internazionale è la divisione tra le grandi potenze, causata principalmente dagli Stati Uniti - ha aggiunto il premier -. Gli Usa sono coinvolti in conflitti con Russia e Cina, prima la crisi ucraina e ora il tentativo di istigarne un’altra nella regione Asia-Pacifico, nello Stretto di Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale».

La Cina si fa scudo rafforzando la sua influenza nel Sud del mondo. L’obbligo del G20 è rafforzare il Sud del mondo, titolava ieri Xinhua. Secondo l’agenzia di stato, al centro dell’agenda del G20 dovrebbero esserci «le aspirazioni di sviluppo del Sud globale».

In definitiva, quella di Xi a Delhi è un’assenza giustificata da una serie di fattori concomitanti. Ma che, nello stesso tempo, evidenzia una tendenza divenuta sempre più chiara durante e dopo la pandemia, quando il dialogo tra la Cina e l’occidente si è fatto sempre più intermittente e difficile.

Negli ultimi mesi Xi ha partecipato (online) al vertice che ha decretato l’ingresso dell’Iran nella Shanghai Cooperation Organization, al summit di Riyadh del Consiglio di cooperazione del Golfo che ha ufficializzato il rafforzamento dei rapporti Cina-Medio Oriente, e a quello in Sudafrica in occasione della storica espansione del gruppo Brics (da cinque a undici componenti).

Forum multilaterali che non possono “sostituire” la relazione con gli Stati Uniti, che per Pechino resta di primaria importanza da un punto di vista economico e di sicurezza.

Ma che tuttavia, in una fase in cui per Washington «la sfida geopolitica più significativa dell’America» è rappresentata dalla Cina, sono per quest’ultima fondamentali non solo per favorire i commerci, ma anche per non finire nell’angolo, promuovendo una visione e una pratica alternativa delle relazioni internazionali basata su un certo multilateralismo al quale si accompagna la difesa a oltranza dei princìpi di sovranità e non ingerenza.

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