Per qualche analista era chiaro sin dall’inizio: la candidatura dell’ex governatore del New Jersey Chris Christie alle primarie repubblicane per le presidenziali del 2024 è stata soltanto una scelta di pura testimonianza politica.

Perché, secondo Christie, già sostenitore della prima ora di Donald Trump prima di un distacco brusco alla vigilia del suo insediamento nel gennaio 2017, il rischio di un ritorno del tycoon alla Casa Bianca andava scongiurato. E nell’opinione di Christie, solo lui avrebbe avuto il coraggio di affrontarlo e criticarlo apertamente.

Cosa che si è rivelata vera, mantenendo anche nel contempo posizioni conservatrici, esemplificate dallo slogan “Se vi piace l’agenda Trump, lui è la persona peggiore per attuarla”.

Peccato che però, di questo, non se ne sia accorto nessuno. Anzi, la sua percentuale striminzita nei sondaggi, che oscillava tra il 5 e il 10 per cento, veniva sottratta al consenso di altri candidati come l’ex ambasciatrice presso le Nazioni unite Nikki Haley e il governatore della Florida Ron DeSantis.

Oltre Trump

Cosa non ha funzionato dunque nei circa sette mesi successivi all’annuncio della corsa, dato da Christie il 6 giugno 2023? Il concetto che, tutto sommato, il partito repubblicano odierno sia in grado di andare oltre Donald Trump.

Illusione nella quale si erano cullati anche altri commentatori, specie d’impronta conservatrice, quando a novembre 2022 Ron DeSantis era stato rieletto comodamente quale governatore del Sunshine State. Anche allora, si diceva, Trump era pronto a essere archiviato. Nulla di più sbagliato.

Oggi, a livello nazionale, Trump supera comodamente il 61 per cento dei consensi nelle principali rilevazioni e nei caucus dell’Iowa, che si terranno il prossimo 15 gennaio, ottiene il 53 per cento delle preferenze.

A poco sono valse le vicende giudiziarie che lo hanno visto protagonista, sia per quanto riguarda il suo tentativo di rovesciare le elezioni del 2020, ma anche per reati legati alle sue aziende.

In nessuno di questi casi il consenso tra la base militante repubblicana si è scalfito, anzi, si può dire che è stato rafforzato, tanto che è forte il sentire di una possibile “persecuzione” dell’ex presidente da parte del dipartimento di Giustizia guidato da Merrick Garland.

Una teoria, questa, che ammicca anche al mondo complottista di QAnon, dove Trump è la guida del Bene contro il cosiddetto “deep state”. Ieri, a sorpresa, l’ex presidente ha deciso di parlare all’udienza del processo civile per truffa, dicendo che è «perseguitato politicamente».

Un’illusione

Christie dunque è stato vittima di un miraggio e di un’illusione assai potente in parte del mondo intellettuale conservatore: ovverosia che l’ascesa del tycoon dopo il giugno 2015, periodo in cui lanciò la sua candidatura scendendo la scala mobile della Trump Tower di New York dove allora risiedeva, sia stata un fatto assolutamente fortuito e accidentale, provocato dalla disorganizzazione di avversari più preparati che però erano troppo intenti a litigare tra loro per accorgersi del pericolo incombente.

I voti nel 2016 e nel 2020 sarebbero quindi arrivati più che altro per ostilità a un Partito democratico sempre più spostato a sinistra e per l’impopolarità di una candidata come Hillary Clinton.

Il finale convulso della sua presidenza, culminata con l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, avrebbe quindi dovuto restaurare la sostanziale salute di un partito di matrice reaganiana rimasto silente per ragioni di scuderia.

Analisi che la vicenda di Christie dimostra invece essere totalmente sballata: l’evoluzione in senso nazional-conservatore del partito repubblicano e la crescita del sentimento isolazionista sono state una costante che ha animato l’azione politica di figure importanti ma minoritarie come il consulente politico Pat Buchanan e l’ex deputato del Texas Ron Paul.

A far diventare maggioritario questo sentimento è stata proprio la questione migratoria che ancora oggi è la principale tematica che unisce tutte le ali del partito repubblicano, chiedendo maggiori controlli al confine messicano.

Non stupisce quindi che due conservatori moderati come il viceleader di maggioranza alla Camera Tom Emmer e il presidente del gruppo repubblicano al Senato John Barrasso abbiano deciso di annunciare il loro sostegno a Donald Trump per le elezioni presidenziali del prossimo novembre.

Come già detto, si tratta di politici noti per i loro modi gentili e per le loro posizioni tutt’altro che radicali. Eppure, si rendono conto che l’unica figura che nel 2024 è ancora in grado di tenere unito un partito come quello repubblicano, tuttora flagellato dalle divisioni congressuali tra ultraconservatori e moderati, sia proprio l’ex presidente.

Forse è anche il segno di un partito con poche idee, ma di certo le idee di Reagan ormai appartengono al passato come quelle di Lincoln. Lo stesso possiamo dire anche dell’originale mix ideologico che componeva il conservatorismo compassionevole che muoveva la politica interna ai tempi della presidenza di George W. Bush.

L’opzione Kasich

Fin qui, il quadro ideologico. Già nel 2016 però c’era un candidato molto simile a Christie nella persona dell’allora governatore dell’Ohio John Kasich, che similmente al suo collega del New Jersey si atteggiava a portatore dei valori sani di una volta contrapposto alla follia trumpiana.

Una posizione che si è rivelata sterile e che, a conti fatti, ha stroncato anche l’unica possibile alternativa al tycoon, ovvero il senatore del Texas Ted Cruz, levandogli dei consensi che avrebbero potuto portarlo quantomeno alla pari con Trump. Kasich poi si è riqualificato come commentatore “di destra” del network all news Cnn, molto vicino all’apparato dem.

Chissà che anche Christie non nasconda ambizioni di questo tipo per rappresentare, presso un pubblico progressista, la faccia di un conservatorismo “ragionevole” che ormai non esiste più.

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