Il presidente Emmanuel Macron non poteva essere più chiaro di così: «Non mi faccio ingannare. Vedo troppa ipocrisia soprattutto nel continente africano nel non volere qualificare una guerra col suo nome, a causa delle pressioni diplomatiche».

Senza nominare direttamente la Russia, con la sua nota nitidezza un po’ brutale, Macron ha manifestato agli africani tutto il suo malumore.

Secondo il leader francese l’atteggiamento di numerosi paesi del continente contrasta con la posizione europea, la quale «non è affatto quella di partecipare a questa guerra, ma almeno di riconoscerla e darle un nome».

Tali propositi sono stati tenuti dal leader francese a Yaoundé in Camerun, nel corso della sua tournée che lo ha portato anche in Guinea Bissau e in Benin.

Un viaggio che è sembrato una reazione a quello di Sergej Lavrov tra Congo democratico, Etiopia Uganda ed Egitto rilanciando le posizioni di Mosca.

Il ministro degli Esteri russo era sulla difensiva e il suo messaggio in Africa è stato: «Non siamo noi gli affamatori dell’Africa», dando la sua versione sulla questione del grano e in generale dell’aumento dei costi alimentari.

Parigi vs Mosca

Da tempo la Francia cerca di opporsi all’influenza russa sul continente, come si è visto anche dalle recenti polemiche in Mali (dove l’esercito francese è stato sostituito dai contractor della Wagner di proprietà russa) e quelle passate in Repubblica Centrafricana.

Molti paesi africani si sono astenuti o non hanno partecipato all’ormai famoso voto in assemblea generale delle Nazioni unite, con il quale si condannava l’aggressione russa all’Ucraina.

Ancora oggi molti cercano di rimanere in bilico e non si sbilanciano a favore dell’Ucraina. Per questo Macron ha scelto di concentrarsi sul termine “guerra”, simbolico di una presa di posizione.

Lo ha fatto in Camerun perché, proprio alcuni giorni dopo l’attacco, il ministro camerunese della Difesa era andato a Mosca a firmare un accordo di partenariato militare.

Malgrado i tentativi di Yaoundé di derubricare il memorandum a semplice atto dovuto per transazioni pregresse e già avvenute, si è trattato di un gesto preso molto male da Parigi. Ma la Francia non può fare a meno del Camerun, una delle chiavi del suo dispositivo africano, soprattutto nella regione centrale.

Il Camerun

Si tratta dello stato più stabile dell’ex Africa Equatoriale francese, quello più ricco e potenzialmente quello con più influenza geopolitica. L’anziano presidente Paul Biya è riuscito a tenere il suo paese lontano dalle crisi che lo hanno circondato nei decenni trascorsi: le continue guerre del Ciad o della Repubblica centrafricana; i contenziosi con la Nigeria; le instabilità politiche del Congo Brazzaville o del Gabon.

Anche se criticato per essere rimasto al potere 40 anni, Biya rappresenta una sicurezza e molti camerunesi temono il momento quando sarà necessario trovargli una successione.

La Francia segue le evoluzioni del paese da vicino, da sempre candidata a rappresentare una forma di garanzia di pace e continuità. Macron ha voluto dare un senso a tale partenariato evocando il momento della decolonizzazione e delle violenze che ne erano seguite: il Camerun è stato forse l’unico paese ex colonia francese in cui c’è stata una lotta per l’indipendenza con conseguenze assai cruente ma sempre nascoste.

La politica “memoriale”

Come ha fatto per il Ruanda e per l’Algeria, anche in questo caso il presidente ha lanciato una «revisione storica e della memoria» perché sia fatta piena luce su quella vicenda drammatica, incluse le responsabilità di Parigi.

In questo modo Macron prosegue la sua politica “memoriale” di riesame, che i suoi predecessori avevano promesso ma mai realizzato. Più di 1.000 pagine sono state pubblicate dalla commissione che si è occupata del genocidio ruandese e delle responsabilità francesi con l’operazione Turquoise.

Altrettante sui fatti d’Algeria, inclusi i tragici eventi dell’ottobre 1961 quando una pacifica manifestazione a Parigi fu attaccata brutalmente dalle forze dell’ordine, più di 120 algerini furono uccisi e gettati nella Senna, 14.000 detenuti e molti scomparsi.

Sono storie che fanno male e di cui si parla e si scrive da tempo, inclusa quella del Camerun, ma che mai le autorità avevano ammesso. Ora gli archivi segreti si aprono e gli storici possono scoprire ciò che le autorità hanno celato per tanto tempo.

Macron punta sulla verità storica per riappacificare gli animi, creando una memoria condivisa. È il suo metodo per ricostruire un partenariato nuovo con l’Africa. Ciò che prima della guerra era essenzialmente una questione franco-africana, dopo l’attacco a Kiev diviene qualcosa che coinvolge gli altri europei e a cui questi ultimi dovrebbero prestare maggiore attenzione.

La scelta per la verità storica è un modo per reagire alla crescente influenza in Africa del modello autoritario: rinnovare l’antica storia comune euro-africana alla luce della verità e del riconoscimento delle reciproche responsabilità. È un metodo del dialogo che necessiterà di tempo per attecchire e convincere ma che, se inserito in una visione politica, appare molto più rispettoso che non il solo scambio basato su interessi commerciali, di sfruttamento o di convenienza.

Parla ai popoli e non solo ai governi: di questo le leadership africane devono tenere conto. Con Kigali tale tentativo ha avuto successo. Meno con Algeri. Con il Camerun si vedrà. La Francia porta su di sé il peso di una storia africana importante e contraddittoria e ora prova a fare i conti con essa, a differenza di altre ex potenze coloniali europee che hanno scelto il silenzio, l’oblio o addirittura la rimozione.

Non sempre tali esperimenti riescono: manipolare la storia può essere fatale. Ma forse in certi casi è la sola opzione che rimane dopo tante strumentalizzazioni. «Sono pronto a girare la pagina, ma almeno vorrei leggerla» ha dichiarato un intellettuale algerino: forse questa è la strada con cui la storia diviene una medicina e cessa di essere un’arma. 

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