Alle 8.30 di domenica superiamo, a piedi, il confine intasato da lunghe file di camion tra la Polonia e l’Ucraina. Dopo altre 10 ore di pullman si arriva a Kiev circondati da un’atmosfera spettrale, tra le fabbriche e le case, persino un ospedale pediatrico, bombardati.

Arrivati nella sala conferenze, con il vice sindaco di Kiev, ci colleghiamo con venti piazze in Italia, mettiamo insieme ucraini, italiani, russi in aperto dissenso con Putin.

Alle 23 inizia il coprifuoco e mentre ci si organizza per la notte, alle 23.45, alcuni sentono la sirena antiaerea, altri ricevono notifiche della App, che il governo ucraino invita a scaricare per le segnalazioni degli allarmi aerei o missilistici. Nei telefoni lampeggia: «Air Alarm, don’t leave the shelter». Si scende nel rifugio sotterraneo fino a che la stessa app, due ore dopo, avviserà del cessato allarme.

Pensiamo a chi vive così dal 24 febbraio, a chi ha perso tutto. Eppure ci dimentichiamo troppo facilmente della guerra. Un anno fa l’Afghanistan, la frottola dei “talebani moderati” e l’immagine delle persone attaccate alla fusoliera degli aerei che tentavano di evacuare il paese. E ora, dopo sei mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’attenzione mediatica inizia a lasciare posto ad una lunga campagna elettorale.  Mesi in cui è emerso un giornalismo di alto livello accanto al peggiore mai visto.

Non tutti sono strumento della disinformazione di Putin, gran parte della politica e dell’informazione hanno un problema di formazione, di etica, di cultura, sono sommerse dalle ondate di opinionismo. Pensieri banali, polarizzati: “Pacifisti” contro “guerrafondai”, “la Nato contro la Russia”. Per questo, il buonsenso, il coraggio, le idee sono sempre più fuori posto. Per questo alcuni ancora faticano a comprendere la nostra iniziativa di ieri.

Costruire la pace

Ukrainian servicemen walk past a building heavily damaged in a Russian bombing in Bakhmut, eastern Ukraine, eastern Ukraine, Saturday, May 28, 2022. Fighting has raged around Lysychansk and neighbouring Sievierodonetsk, the last major cities under Ukrainian control in Luhansk region. (AP Photo/Francisco Seco)

Un’iniziativa nonviolenta che non solo non condanna ma comprende e accoglie le ragioni della resistenza ucraina. I costruttori di pace, i “pacifisti concreti” come ha detto Luigi Manconi, l’iniziativa, difendono l’autodeterminazione dei popoli senza intermittenza.

La costruzione della pace non si può lasciare ai “neutralisti” o ai furbetti “complessisti” e non può essere delegata interamente a nessuno governo. Può e deve, diventare un processo, realmente irreversibile, se entrano in campo i cittadini, le persone, la nostra capacità di ricostruire legami di comunità. Anche per questo, abbiamo voluto fare tutti questi 3000 km, perché la rimozione, l’assuefazione, il fastidio per la resistenza ucraina, la rimozione della guerra, ci fa sentire a disagio.

Le due domande più banali e opposte: «Perché non andate a Mosca?» o «i pacifisti che sostengono la resistenza armata non sono credibili».

Per i polemisti da social è arduo comprendere le ragioni per cui 130 attivisti, 60 italiani e 70 ucraini, hanno costruito, per mesi, relazioni con l’umiltà di ascoltare.

Il Mean è nato federando 35 associazioni, sull’idea di fondo di Alex Langer dei corpi civili di pace: se si vuole un processo di pace veramente irreversibile, bisogna costruirla edificando comunità prevenendo e risolvendo conflitti.  E quando la guerra si manifesta è imprudente limitarsi a commentare.

Emmanuel Mounier condannava il desiderio di una «pace che sa di resaZ. Solo il cinismo fabbricato da tv show ormai sequestrati dal narcisismo senile può chiedere agli ucraini di arrendersi e all’Europa di accettare che si modifichino i confini degli stati con le armi.

Personalmente sono qui anche perché mi trovo a disagio in un paese in cui c’è ancora chi dice che a Bucha c’erano degli attori, che a Kharkiv gli ucraini si sono bombardati da soli.

L’iniziativa è stata costruita, decisa e realizzata in ascolto con la società civile ucraina. Ieri il sindaco di Kiev e il nunzio apostolico hanno affermato che bisogna fermare l‘invasione ma che è il momento di pensare al futuro che non esiste se non si costruisce la pace.

Il nostro obiettivo è proprio questo, costruire uno spazio sociale comunitario concreto. La pace e l’Europa non sono due bandierine astratte. Ma processi culturali, politici, umani da edificare e custodire ogni giorno. La politica estera non può non essere matrice di una politica interna ad essa coerente. Nulla può accadere senza la restituzione del diritto a costruire un futuro migliore alle persone.

Per questo era utile esserci perché agli impresari dell’indignazione ci stanno rendendo rassegnati. Perché è il momento del coraggio e della perseveranza, proprio come diceva Alex Langer: non siate tristi, continuate in ciò che era giusto.

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