Non è tanto cosa, ma con chi. eIn cosa consistano esattamente i piani d’Africa di Giorgia Meloni – che per puntellare la sua narrazione si è presa pure il nome di Enrico Mattei, per un «piano Mattei» – è questione nebulosa, come nebulosa è la materia della propaganda. Questo lunedì alla conferenza Italia Africa, rinviata per mesi e finalmente svolta, la premier dovrà sciorinare qualcosa.

Ma con chi? Questa è – più di tutte – la questione politica. Sappiamo che le numerose trasferte africane della premier si sono svolte in tandem con Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni. Tuttavia a distinguere questa conferenza Italia Africa dalle passate conferenze ministeriali – perché lo schema di partenariato era già in piedi nel 2016, 2018 e infine nel 2021 – è la presenza dei vertici europei.

«La presidente mi ha appena confermato che sarà presente alla Conferenza Italia Africa», aveva anticipato Meloni quando ha condiviso il palco con Ursula von der Leyen a Forlì. E non c’è soltanto la presidente della Commissione europea.

Anche Charles Michel, che presiede il Consiglio europeo, si trova a Roma. Poteva forse mancare l’amica per eccellenza dei Fratelli d’Italia? No, neanche Roberta Metsola, la presidente di Europarlamento che incarna l’alleanza tra popolari e conservatori, manca all’appello.

Superato il proscenio dell’incontro con i leader africani, c’è un dietro le quinte che riguarda squisitamente noi europei: a nessuno Meloni potrà far credere che il tema di alleanze, nomine e schemi di gioco non abbia sfiorato lei e i vertici Ue nei giorni roman-africani.

La cena e la regia

Tutto è cominciato domenica sera, con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a far gli onori di casa: nel salone delle feste del Quirinale, sono stati accolti per cena Meloni con il ministro degli Esteri Antonio Tajani e i vertici Ue – von der Leyen, Michel, Metsola – assieme al presidente dell’Unione africana, a quasi una trentina di capi di stato e di governo africani, alla direttrice del Fondo monetario internazionale, alla vicesegretaria Onu.

A Mattarella tocca il compito di puntellare con la sua autorevolezza la mossa del governo. Del resto era stato sempre lui, a scongelare le tensioni tra l’Eliseo e Chigi, e a spingersi a Parigi quest’estate. E sempre Mattarella ha intessuto rapporti istituzionali coi suoi viaggi, ad esempio quello in Kenya. Dopo la cena per acclimatarsi, lunedì cominciano al Senato i lavori.

La conferenza Italia Africa era inizialmente prevista per novembre, così come il piano Mattei era inserito nei discorsi della premier sin dal giorno del suo insediamento. Quel che invece è successo a fine 2023 è che tramite decreto abbiamo appreso qualcosa in più sul perimetro del progetto: oltre all’idea generica di una cooperazione strutturata, sappiamo che sono stati messi a bilancio per quest’anno circa tre milioni.

Sappiamo anche che Chigi concentrerà su di sé le redini del progetto, che ha un raggio quadriennale e che prevede rendicontazioni annuali al parlamento. Sappiamo inoltre che «ferme restando le funzioni di indirizzo e di coordinamento dell'attività spettanti al premier» è prevista una cabina di regia. Dovrebbe riunirsi per la prima volta a febbraio, e sono previste pure missioni di una struttura apposita in Africa.

Esiste un abbozzo di governance quindi, ma per fare esattamente che cosa? In teoria nel suo intervento a palazzo Madama questo lunedì la premier dovrebbe dettagliarlo. Gli interventi istituzionali saranno poi accompagnati da cinque sessioni di lavoro, ognuna delle quali coinvolge membri del governo.

Nel panel su «cooperazione economica e infrastrutturale» ci saranno Salvini, Giorgetti e Urso. Sulla «sicurezza alimentare» presidieranno Tajani e Lollobrigida. La «sicurezza e transizione energetica» vedrà la partecipazione di Pichetto Fratin, ma si può presumere che sia la premier stessa ad aver costruito la tela già prima: sin dall’inizio del suo mandato, ha preso il testimone di Draghi prima per i rapporti con l’Algeria, poi nel viaggio in Libia, sempre in coppia con Descalzi. «Formazione professionale e cultura» saranno con Valditara, Bernini e Sangiuliano. Infine «migrazioni e mobilità» con Piantedosi e Crosetto.

La cornice europea

«Il fatto che ci saranno i vertici europei mostra quanto sia importante inserire il piano Mattei in una strategia europea», ha detto questa domenica Tajani.

La cooperazione tra Meloni e von der Leyen – che si basa cioè sull’alleanza tattica tra meloniani, popolari e presidente di Commissione al lavoro per il proprio futuro politico – è stata sperimentata sul campo proprio con i viaggi africani della coppia. La presidente di Commissione Ue ha forzato le proprie competenze, scatenando le rimostranze del Consiglio ovvero dei governi, e ha individuato i propri compagni di viaggio in Meloni e nel dimissionario Rutte – anche lui in cerca di futuro politico – battezzando il memorandum Ue Tunisia caro alla premier.

Nonostante sia stato contestato su più fronti – metodo e contenuti - von der Leyen continua a citarlo come un modello da replicare, e ha inteso farlo ad esempio con l’Egitto nel contesto di uno sfollamento dei palestinesi da Gaza. Lo schema è grezzo: soldi e cooperazione se si trattengono migranti. Uno schema che finora non ha fatto che sottoporre l’Ue agli ennesimi ricatti degli autocrati, Erdogan o Saied.

Ad ogni modo giovedì in Consiglio europeo dovrebbe sbloccarsi il bilancio, e nella bozza di revisione figurano anche 9,6 miliardi per “migrazione e dimensione esterna”. Meloni lo ha già presentato come un suo successo, ma a dicembre il premier ungherese si era messo d’intralcio con i suoi veti. Anche per questo, in vista di giovedì, con Meloni che prova a sfruttare un ruolo da mediatrice con Orbán, lei e i presidenti Ue avranno di che parlare.

Ma c’è da scommettere che siano proiettati già su giugno e sulle nomine, con Michel che ha da poco fatto retromarcia sull’annuncio di candidarsi all’Europarlamento, e il nome di Mario Draghi a far da convitato di pietra per l’Europa che verrà.

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