«L’omosessualità è contro la legge ed è una malattia mentale», ha detto a un’emittente televisiva tedesca, Khalid Salman, ambasciatore dei mondiali in Qatar. Una frase anticipata dall’invito ai tifosi omosessuali che assisteranno alle partite del mondiale ad «accettare le regole» vigenti nel paese. Detto in altre parole, l’invito ad astenersi da pubbliche esternazioni d’affetto. 

La frase ha generato indignazione e spinto alcuni attivisti tedeschi Lgbt del gruppo All Out a protestare di fronte al museo della Fifa a Zurigo. La Federazione rispondendo alle legittime contestazioni degli attivisti ha assicurato che «tutte le misure necessarie saranno messe in atto per i fan Lgbtiqia+ per godersi il torneo in un ambiente accogliente e sicuro, proprio come
per tutti gli altri». 

Fifa e comunità Lgbt

Ma il rapporto della Fifa con la comunità Lgbt è sempre stato piuttosto controverso. La federazione, infatti, più volte ha esibito comportamenti contraddittori, lasciandosi andare ad esternazioni velatamente omofobiche che, quantomeno spiegano, perché dodici anni fa non sono emerse né incertezze né imbarazzi quando si è trattato di scegliere per i Mondiali 2022 proprio il Qatar, un paese autore di numerose violazioni dei diritti umani. 

Anzi, a dirla tutta è stato proprio in quel momento che si è dimostrata la scarsa sensibilità dei vertici Fifa. Durante l’annuncio nel 2010 della scelta del Qatar come nazione ospitante i mondiali di dieci anni dopo, alla domanda di un giornalista che gli chiedeva cosa consigliava ai tifosi omosessuali che intendevano recarsi nel paese islamico per seguire il torneo, recarsi in Qatar per la competizione, l’allora presidente Fifa, Joseph Blatter, aveva risposto sorridendo: «Direi che dovrebbero astenersi da qualsiasi attività sessuale». 

Certo si può sostenere che allora i tempi non erano maturi, che in questi dodici anni la sensibilità per questi temi si sia raffinata e che, dunque, anche i vertici Fifa abbiano acquistato consapevolezza. Ma potrebbe non essere così.

«Pensiamo al calcio»

Solo qualche giorno fa, infatti, il presidente Gianni Infantino, insieme con il segretario generale, Fatma Samoura, ha scritto una lettera alle 32 nazionali che si sfideranno nel torneo. In un passaggio della lettera, si legge: 

«Alla FIFA, cerchiamo di rispettare tutte le opinioni e le convinzioni, senza impartire lezioni morali al resto del mondo. Uno dei grandi punti di forza del mondo è proprio la sua diversità, e se inclusione significa qualcosa, significa avere rispetto per quella diversità. Nessun popolo, cultura o nazione è "migliore" di un'altra. Questo principio è la pietra miliare del rispetto reciproco e della non discriminazione. E questo è anche uno dei valori fondamentali del calcio. Quindi, per favore, ricordiamolo tutti e lasciamo che il calcio sia al centro della scena.».

Il presidente, dopo aver ammonito sui rischi della superiorità morale e ricordato che il rispetto delle diversità è alla base della non discriminazione, si preoccupa di ricordare che al centro della scena deve esserci il calcio. Come se chi ne fa parte, giocatori e tifosi, in parte omosessuali, non siano “messi all’angolo”, per riprendere l’immagine usata dal presidente, dalle leggi qatariote che li discriminano.

Il calcio e l’omosessualità

Va ricordato che il calcio ha sempre fatto fatica ad ammettere di avere un problema serio, più di altri sport, con l’omosessualità. In un’intervista del 2012 il giocatore Antonio Cassano ha detto di sperare che «in squadra non ci fossero f*oci».

Più volte l’ex allenatore della nazionale italiana, Marcello Lippi, ha dichiarato di non aver mai conosciuto un giocatore omosessuale. Gli esempi sono tutti italiani, ma basterà pensare ai racconti delle difficoltà incontrate nel fare coming-out di alcuni calciatori stranieri – uno su tutti Héctor Bellerín –  per comprendere quanto il fenomeno sia di ampia portata e non incontri barriere geografiche. 

Come molti studi hanno dimostrato, il cortocircuito è innescato dall’impatto che gli stereotipi di genere hanno sull’immaginario comune legato al calcio. La mascolinità è, infatti, associata, oltre che a forza e aggressività, allo spirito competitivo. La femminilità, viceversa, a debolezza e dolcezza. Si tratta di costrutti culturali percepiti erroneamente dalla maggior parte delle persone come differenze biologicamente determinate. A questo si aggiunge un’altra stortura, quella della confusione tra ruolo di genere e orientamento sessuale, per cui se sei omosessuale devi necessariamente essere effeminato, motivo per il quale, a sua volta, non puoi essere uno sportivo.

È vero che nel tempo il mondo del calcio ha iniziato a fare i conti con questo problema e che, anche la Fifa ha stilato protocolli per l’inclusione e per sanzionare le discriminazioni ma la strada è lunga. 

I dati

Proprio da un rapporto Fifa basato sul tracciamento dei social durante Euro2020 e Coppa d’Africa 2021 è emerso che oltre il 50 per cento dei calciatori ha ricevuto discriminazioni, la maggior parte di matrice razzista e omofobica.

Sono stati analizzati oltre 400 mila post sulle piattaforme dei social media durante le semifinali e le fasi finali di due competizioni internazionali. I commenti omofobici sono stati il 40 per cento.

Di certo, l’atteggiamento indulgente che la Fifa sta dimostrando a pochi giorni dall’inizio dei mondiali del Qatar conferma che il problema del calcio con l’omosessualità è ancora lontano dalla soluzione.

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