Jospeh Ratzinger il teologo e lo scrittore, l’inflessibile prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il papa in carica e il papa emerito. Esistono diverse fasi nella vita e nell’opera di Benedetto XVI e forse all’interno di ciascuna di queste quattro definizioni è possibile rintracciarne altre legate al carattere, al sentimento verso la vita e la Chiesa che ne hanno motivato e caratterizzato le scelte. Indubbiamente, tuttavia, l’incarico che ha segnato più a lungo la sua vita al vertice della Chiesa cattolica, è stato quello di cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (dal 1981 al 2005), l’organismo che aveva il compito di promuovere e tutelare la dottrina cattolica ovunque nel mondo. Sono gli anni in cui la Chiesa, sotto Giovanni Paolo II, prova a recuperare il terreno che sta perdendo in particolare in Occidente. Fra le sfide più difficili con  il cardinale deve di misurarsi, c’è quella relativa alla diffusione della teologia della liberazione che fa proseliti in America Latina.

La teologia della liberazione

(AP Photo/Alessandra Tarantino, File)

Ricorda sulla Civiltà Cattolica padre Federico Lombardi, ex direttore della Sala stampa della Santa Sede: «La preoccupazione del Papa (Wojtyla,ndr) per l’influsso dell’ideologia marxista sulle correnti di pensiero della teologia latinoamericana è grande, e il Prefetto la condivide e affronta il delicato problema con coraggio. Ne risultano due famose Istruzioni, con l’intenzione rispettivamente di opporsi alle derive negative (la prima, del 1984) e di riconoscere il valore degli aspetti positivi (la seconda, del 1986).

Le reazioni critiche, soprattutto al primo documento, e le discussioni vivaci non mancano, anche per casi specifici di singoli teologi controversi (fra cui il più noto sarà il brasiliano Leonardo Boff). Ratzinger, nonostante la sua riconosciuta finezza culturale, non sfugge dunque al comune destino dei responsabili del Dicastero dottrinale di avere la fama di rigido censore, guardiano dell’ortodossia e avversario principale della libertà della ricerca teologica e, poiché è tedesco, gli viene affibbiato il nomignolo non benevolo di Panzerkardinal».

Di fatto quella stroncatura teologica rappresentò una cesura drammatica, una rottura fra quell’ampia parte di Chiesa che aveva interpretato il Concilio vaticano II come recupero della radice originale del Vangelo nel segno della lotta alle ingiustizie, e le istituzioni vaticane. Nella condanna si confusero di fatto gli eccessi ideologici e un movimento che stava cambiando il volto del cattolicesimo latinoamericano.

È sempre il prefetto a condannare l’inclinazione omosessuale come «intrinsecamente disordinata», una definizione che diventerà uno degli elementi di aperta polemica fra il movimento omosessuale e la Chiesa cattolica. Ancora, è il cardinal Ratzinger con il documento «De delictis gravioribus» a stabilire che gli abusi sessuali dovevano essere trattati dalla Congregazione per la dottrina della fede, è il primo tentativo di scongiurare gli insabbiamenti che avvenivano a ripetizione nelle chiese locali.

Lo scontro con la modernità

Ma la complessa attività legislativa del dicastero guidato per un quarto di secolo dal futuro Benedetto XVI, va compresa nel più ampio e immenso tentativo, promosso da Giovanni Paolo II, di elaborare e catalogare  risposte il più possibile definitive ai problemi dell'umano, di ricomprenderli dentro l'alveo della dottrina e del diritto canonico, di ricollocare ogni cosa nella filiera teologica che percorre i secoli della storia europea, secondo la giusta dottrina definita da Roma.

La battaglia viene condotta ribattendo colpo su colpo un po' ossessivamente, a ogni mutamento e novità in campo scientifico e tecnologico – spesso sovrapponendo i due piani - dell'evoluzione dei diritti civili e sociali, rintuzzando ogni pezzetto di modernità che toccava la sfera della persona, delle sue relazioni, del suo corpo.

Si è trattato di uno sforzo organicistico gigantesco per mettere argini, puntellare, istruire i cattolici, in primo luogo i politici e i vescovi, con un occhio diffidente verso quanti, indossando l'abito religioso di qualche ordine o congregazione, insegnavano teologia in una delle tante università cattoliche del mondo, perché non c'è peggior nemico di quello interno.

Lo scopo di questo immenso lavoro ordinativo e legislativo, di una infinita serie di divieti, precisazioni e criteri prudenziali, era quello di mantenere intatta la centralità di Roma, la sua 'auctoritas', in definitiva il suo comando. E tuttavia un simile progetto aveva bisogno di una mente raffinata e meticolosa, quasi maniacale nella precisione, nel gusto della citazione, nella conoscenza del testo, una mente conservatrice ma non reazionaria, in grado di somministrare l'amaro calice lasciando sempre uno spiraglio aperto.

Il vero regista di questa operazione ha il volto del cardinale Joseph Ratzinger; è lui che ha costruito lo straordinario scenario di decreti e di elaborazioni dentro le quali ha cercato disperatamente di imbrigliare la modernità. E va riconosciuto, al di là di ogni giudizio di merito, che il tentativo è stato grandioso nella sua portata intellettuale, nella vastità enciclopedica dei territori che occupava, nella puntualità con la quale veniva data una risposta a ogni centro di ricerca giapponese o americano che annunciava qualche strabiliante e impressionante passo in avanti nell'ingegneria genetica; o ancora ad ogni parlamento nazionale, ad ogni consiglio comunale sparso per il mondo, che istituiva unioni o matrimoni omosessuali.

I peccati della chiesa

Il Ratzinger papa è stato già un'altra cosa: Benedetto XVI proverà infatti a portare a termine il suo disegno ideologico-teologico e allo stesso tempo a fare pulizia dentro una chiesa di cui conosceva bene i peccati, anche quelli “gravioribus”.

L'operazione non andrà in porto, lui stesso ne prenderà atto, e la seconda parte dei suoi otto anni di regno saranno segnati sempre più da questo dualismo inconciliabile – restaurazione e riforma. Alla fine sarà lo stesso Ratzinger ad ammettere, con l'atto estremo della rinuncia inteso come rivolta estrema contro i poteri interni impermeabili ad ogni cambiamento, che quell'idea assolutistica, non poteva reggere. Emerge, in questo contesto difficile in cui gli scandali finanziari e sessuali scuotono la Chiesa, un Ratzinger mite, timido, l’opposto del panzerkardinal; è un Benedetto XVI che guarda con nostalgia a un passato perduto, alla tradizione medioevale dei monasteri europei, ma non è allo stesso tempo - e forse proprio per questo - disposto a coprire i malvagi di oggi.

Benedetto e Francesco

AP

Benedetto XVI è stato a tutti gli effetti un papa-teologo, e forse proprio su questo versante va ricercato un limite della sua azione. Il papa teologo è infatti capace di parlare con tutti ma in realtà restando refrattario all'essenza del dialogo, cioè al farsi contaminare dalle ragioni dell'altro. E' insomma difficile se non impossibile mettere mano, ad esempio, al drammatico nodo della pedofilia nella Chiesa – come certamente Benedetto XVI ha provato a fare – girando intorno al rapporto irrisolto fra Chiesa e sessualità e additando nella nebulosa sessantottesca la causa delle perversioni dei costumi che aveva colpito anche la Chiesa (una tesi insostenibile alla luce della storia assai più antica degli abusi sui minori da parte del clero), e senza voler fare veramente i conti con quella rivoluzione sessuale che aveva prodotto nuovi assetti culturali, sociali, legislativi, anche con limiti e difetti certamente, ma non riducibili caricaturalmente a un mondo spregiudicato e immorale. Tuttavia è la mitezza del Ratzinger-papa ad aver contribuito a cambiare la Chiesa, non tanto nelle lamentele dei suoi adulatori più intransigenti, ma proprio nel mettere in luce la fragilità umanissima del ruolo che ricopriva, anche senza rinunciare alle sue idee. Resta, infine, nella memoria collettiva quell’inedito passaggio di consegne fra i due papi, quando Benedetto XVI ha consegnato a Francesco una grossa scatola di documenti contenente l’indagine interna e riservata su “vatilaeaks” a altri disastri vaticani, segno che i problemi aperti attendevano (e in parte ancora attendono) delle risposte.

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