Che fine ha fatto il conflitto del Nagorno-Karabakh? Molti pompieri sono accorsi sul teatro dell’incendio e ora vogliono spegnere ogni residua traccia di brace sotto la cenere su un confine che continua a registrare bombardamenti e morti secondo la Tass, nonostante il cessate il fuoco raggiunto il 16 novembre scorso con l’intervento russo che presidia la fragile tregua.

Il 14 dicembre il tema della risoluzione del conflitto nel Nagorno-Karabakh è stato discusso in una telefonata tra il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo francese Emmanuel Macron.

Il Cremlino ha informato l’Eliseo sui risultati raggiunti dopo gli incontri trilaterali tra i leader di Russia, Armenia e Azerbaigian il 26 novembre a Sochi.

In dettaglio Mosca ha illustrato a Parigi l’attuazione delle misure per rispettare il regime di cessate il fuoco, per garantire il ritorno dei profughi, nonché il ripristino dei collegamenti commerciali, economici e di trasporto nella regione. Quest’ultimo è il punto a cui Mosca punta di più, soprattutto i trasporti energetici. Inoltre Putin e Macron hanno espresso la speranza che i colloqui previsti tra i funzionari dell’Unione europea e i leader di Armenia e Azerbaigian «possano essere utili». Possibile?

Mediatori

Pare che qualcosa si muova. Il 15 dicembre il presidente francese Emmanuel Macron ha avuto un colloquio con l’omologo dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e con il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, a margine del summit del partenariato orientale europeo che si è svolto in quei giorni a Bruxelles. Sono solo mosse elettorali in vista delle elezioni presidenziali di aprile, visti i numerosi francesi di origine armena residenti in Francia? Oppure è un reale desiderio di dare una mano in un’area che ha visto la Francia molto presente nel secolo scorso? Forse entrambe le cose.

Poi è toccato all’Unione europea con il presidente Charles Michel che in precedenza si era coordinato con Mosca. Il summit del partenariato orientale con l’Armenia, l’Azerbaigian, la Georgia, la Moldavia, l’Ucraina e la Bielorussia esclusa per sanzioni ha messo sul tappeto un pacchetto di aiuti per 2,6 miliardi di euro per l’Armenia, di 1,9 miliardi per l’Ucraina, e di 140 milioni per l’Azerbaigian. Facendone un resoconto, un alto funzionario europeo ha detto che alla vigilia del vertice c’era stato un incontro a due tra il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan durato cinque ore.

«L’incontro tra Armenia e Azerbaigian - ha aggiunto la fonte Ue - è stata una dimostrazione dell’impegno dell’Unione europea nei confronti della regione e degli sforzi per affrontare anche i problemi di difficile soluzione». I leader hanno considerato gli ultimi sviluppi a Bruxelles come «un’evoluzione molto positiva dopo trent’anni di conflitto» nel Nagorno-Karabakh.

La ferrovia della pace

L’Armenia cristiana, con una popolazione di 2,9 milioni di persone e senza sbocco al mare, l’Azerbaigian musulmano con dieci milioni di abitanti e ricco di greggio e gas, hanno infatti raggiunto un accordo sulla costruzione della ferrovia Yeraskh-Julfa-Ordubad-Meghri-

Horadiz, che collegherà i due paesi transitando attraverso la repubblica autonoma del Nakhichevan. Lo ha annunciato il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, precisando che l’intesa è stata raggiunta a Bruxelles durante i recenti colloqui con il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev. Pashinyan ha aggiunto che l’accordo è stato firmato anche grazie ai lavori del gruppo trilaterale a livello di vicepremier tra Armenia, Azerbaigian e Russia e che una bozza di intesa era già stata raggiunta durante il vertice trilaterale a Sochi del 26 novembre.

Riaprire le frontiere

L’Azerbaigian - che nel 2021 ha fornito 7,2 miliardi di metri cubi di gas a Italia, Grecia e Bulgaria con la possibilità di aumentare il flusso a nove nel 2022 e a 11 nel 2023 e che è il principale fornitore di greggio dell’Italia - vuole aprire le frontiere con l’Armenia, ma al momento c’è solo un pieno accordo tra Baku e Erevan sull’apertura dei collegamenti su strada ferrata.

Così il presidente azerbaigiano, Ilham Aliyev, nel corso di un’intervista rilasciata al quotidiano spagnolo El Pais del 17 dicembre: «In precedenza l’Armenia non aveva intenzione di aprire neanche una via, ovviamente ci sono progressi», ha sottolineato Aliyev che avendo vinto il conflitto ora vuole garantirsi i divedendi della pace. Nell’intervista, il capo dello stato azerbaigiano ha riaffermato la posizione di Baku sul Nagorno-Karabakh. Per l’Azerbaigian infatti, ha spiegato Aliyev, il conflitto è stato risolto con la vittoria azerbaigiana e questo dato deve essere preso in considerazione.

Pertanto non c’è bisogno di riprendere alcuna discussione sullo status della regione. Evidentemente gli armeni non la pensano così.

Disgelo tra Turchia e Armenia

A latere del conflitto tra Armenia e Azerbaigian c’è il rapporto difficile di Yerevan con Ankara.

La Turchia, che vuole ingraziarsi la benevolenza di Biden, e l’Armenia hanno nominato il 15 dicembre scorso “inviati speciali” per rappresentarle reciprocamente, l’una verso l’altra, preludio alla normalizzazione e all’instaurazione di relazioni diplomatiche. La cautela è d’obbligo visti i numerosi insuccessi passati. È un’iniziativa che questa volta però potrebbe riservare sorprese, avviata con il sostegno di Russia e Stati Uniti - e con il sostegno dell’Azerbaigian. La Turchia ha riconosciuto l’indipendenza dell’Armenia quando è stata proclamata nel 1991, senza scambiarsi ambasciatori.

I confini tra i due paesi rimasero aperti fino alla prima guerra del Nagorno-Karabakh (1992-1994), un territorio popolato principalmente da armeni, senza sbocco sul mare in Azerbaigian, paese alleato di Ankara e di medesima religione musulmana. Le tensioni tra Ankara e Yerevan derivano dal mancato riconoscimento da parte della Turchia del genocidio armeno, riconosciuto anche da una trentina di paesi, tra cui gli Stati Uniti, l’ultimo ad aprile 2021.

Tra il 1915 e il 1916, la popolazione armena dell’Impero ottomano fu vittima di arresti di massa, marce forzate e massacri che fecero più di un milione e mezzo di morti. Ultimamente, con il riconoscimento prima del Vaticano e poi degli Stati Uniti e l’uso da parte del presidente democratico, Joe Biden, della parola genocidio, la posizione turca si è fatta sempre più isolata.

I due paesi hanno firmato nel 2009 un Protocollo per stabilire relazioni diplomatiche, mai ratificato. L’Azerbaigian, considerandosi messo da parte, ha esercitato pressioni su Ankara minacciando di sospendere le forniture di gas e petrolio e i suoi investimenti. A quel punto i turchi hanno fatto marcia indietro. Nel 2013 Erdogan ha tentato una riconciliazione deplorando i “tragici eventi” del 1915, senza usare però il termine genocidio. Ma questa iniziativa non ha prodotto frutti, anzi il regime di Ankara si è radicalizzato di fronte alle ondate di proteste antigovernative e ha vinto la linea dura dei nazionalisti del Mhp di Devlet Bahçeli, il partito erede dei lupi grigi e alleato di governo dell’Akp di Erdogan.

Il momento giusto

Questo è un momento opportuno per avviare un processo di riconciliazione. Ora che la seconda guerra del Karabakh è finita, l’Azerbaigian non è più contrario alla normalizzazione tra i due paesi. Baku è favorevole all’instaurazione di una pace duratura che possa favorire lo status quo. La palla è ora nella parte dell’Armenia.

Nell’annunciare la nomina di un inviato speciale (l’ex ambasciatore turco a Washington, Serdar Kiliç) per l’Armenia, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha affermato che «Ankara agisce in coordinamento con l’Azerbaigian».

Grazie all’accordo del novembre 2020 sotto la regia della Russia, l’Azerbaigian ha recuperato i sette distretti contesi e parte del Karabakh. Dopo aver giocato un ruolo decisivo nel porre fine all’ultima guerra Nagorno-Karabakh, Mosca vuole la normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia perché vuole l’apertura di linee di trasporto ed energetiche nella regione.

Su Twitter anche il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha accolto con favore questo primo passo, che ha “fortemente incoraggiato”. Il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, in un’intervista a Le Figaro, ha affermato che la Turchia ha stabilito “nuove condizioni” per trattare, incluso il corridoio che collega la Turchia all’Azerbaigian. Cosa farà ora Yerevan?

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