«Questa settimana il summit della Nato a Madrid sarà trasformativo […] Il nostro nuovo Concetto strategico ci guiderà in un’era di competizione strategica». Alla conferenza stampa pre summit Jens Stoltenberg non poteva esprimersi meglio per ribadire che l’Alleanza atlantica si sta dirigendo verso la fase più critica della sua storia dopo il collasso dell’Urss. Solo dodici anni fa, il Concetto strategico licenziato a Lisbona attribuiva alla partnership con Mosca «un’importanza strategica capace di creare un comune spazio di pace, stabilità e sicurezza», mentre non menzionava affatto le minacce poste da Pechino.

Il profondo mutamento di scenario innescato dal revisionismo russo e cinese, pertanto, impone un cambio di passo nella postura, negli strumenti e negli obiettivi della Nato, che saranno fissati – dopo la sua approvazione – nel Concetto strategico 2022.

Occorre evitare, tuttavia, di cadere nel tranello di credere che l’Alleanza stia procedendo a tappe forzate verso una nuova Guerra fredda. Se il ricorso a tale etichetta ci permette di afferrare la gravità del momento e la posta in gioco delle dinamiche globali, ovvero la preservazione o il superamento dell’ordine internazionale a guida americana, d’altra parte rischia di confonderci le idee ancor più di quanto ce le schiarisca.

Le insidie

Nei prossimi anni i paesi Nato non saranno chiamati a confrontarsi con una minaccia monolitica come quella dell’Unione sovietica ma – a meno di repentini cambiamenti di scena – ad affrontare simultaneamente Federazione Russa, Repubblica Popolare Cinese e terrorismo internazionale. Le insidie provenienti da questi attori, inoltre, non saranno più circoscritte agli attacchi convenzionali (terrestre, marittimo e areo) o non convenzionali (nucleare).

A queste dimensioni, infatti, se ne sono aggiunte di “nuove” (cyber, spazio) e di “ibride”, che prevedono l’integrazione dell’arte bellica con strumenti non militari (infowar, manipolazione di fenomeni migratori, approvvigionamento alimentare e virus). 

Dall’eterogeneità delle fonti di insicurezza discende, quasi inevitabilmente, la difficoltà nel trovare un accordo sulla loro gerarchia. Al di là delle dichiarazioni pubbliche che tutti i governi stanno rilasciando di fronte alle tragiche immagini che giungono dall’Ucraina, nel medio termine non tutti gli alleati potrebbero essere disponibili a identificare in Mosca la loro principale fonte di preoccupazione e fare di essa il principale bersaglio dei loro sforzi.

Potrebbero non esserlo gli Stati Uniti che, a dispetto del cambio di inquilino alla Casa Bianca, continuano a ribadire la priorità della minaccia cinese e, anzi, si vedono costretti dalla guerra a restare impegnati in Europa molto più di quanto avrebbero voluto. Potrebbero non esserlo la Germania e la Francia. Entrambe, infatti, vedono messi a repentaglio progetti su cui avevano investito un enorme capitale politico nell’ultimo decennio.

Berlino quello di attestarsi come hub europeo dell’energia attraverso i gasdotti Nord Stream uno e due e, quindi, il gas russo. Parigi quello di guidare verso l’autonomia strategica il continente europeo, facendolo attestare su una posizione di maggiore terzietà rispetto al triangolo di potenza tra Washington, Mosca e Pechino.

Polonia, Baltici e Norvegia, al contrario, sono da sempre i più accesi fautori della linea dura con il Cremlino. Otterranno, almeno per il momento, più di quanto avrebbero potuto sperare prima del 24 febbraio, come induce a pensare anche l’auspicio del segretario generale della Nato secondo cui il summit del 29-30 giugno «chiarirà che gli alleati considerano la Russia la minaccia più significativa e diretta alla nostra sicurezza». E il probabile futuro allargamento a Finlandia e Svezia non potrà che rafforzare la loro posizione, provocando uno sbilanciamento geopolitico dell’Alleanza sul Fianco est.

Al netto delle diverse prospettive sulla sicurezza, è comunque verosimile che a Madrid si porrà l’accento, più che negli ultimi trent’anni, sulla difesa collettiva. In secondo luogo, sarà probabilmente ribadito l’impegno nella sicurezza cooperativa come utile strumento per proiettare la Nato “fuori area” e intensificare i rapporti con paesi like-minded, da quelli più geograficamente più vicini come Georgia e Moldova a quelli più lontani come Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

Spetterà principalmente all’Italia, invece, il compito di difendere l’importanza acquisita nel post Guerra fredda dal crisis management e, con esso, l’attenzione in seno all’Alleanza per le sfide provenienti dal Fianco sud. Questa partita, se ben giocata, non è necessariamente in antitesi con gli impegni ritenuti prioritari dalle potenze anglosassoni e dai paesi dell’est. Se la Russia, infatti, insidia l’Alleanza anche da sud rafforzando le sue posizioni nel Mediterraneo (Crimea, Siria) e agendo attraverso proxy come il Gruppo Wagner (Libia, Mali), la Cina sfrutta la fragilità degli Stati che vi si affacciano per aumentarvi la propria influenza in cambio di prestiti e infrastrutture.

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